Shin Godzilla, la recensione

L’avventura di Godzilla, il Re dei Mostri, comincia nel lontano 1954, quado Ishirō Honda diresse quel capolavoro fanta-apocalittico che diede forma alle paure post-atomiche nipponiche e inaugurò il fiorente filone del Kaiju-eiga, il monster movie giapponese. A 29 film trascorsi, l’ultimo dei quali realizzato nel 2004, Godzilla: Final Wars, la casa di produzione Toho torna ad occuparsi del franchise che le ha dato celebrità probabilmente per battere il ferro ancora caldo del successo del Godzilla a stelle e strisce diretto da Gareth Edwards che ha dato inizio al MonsteVerse della Warner Bros. Nasce così Shin Godzilla (conosciuto anche come Godzilla Resurgeance), emblematico kaiju-eiga che pone un nuovo punto di partenza nell’esistenza del mostro più famoso della storia del cinema.

Il titolo è una dichiarazione d’intenti: il termine “shin” in giapponese ha un triplice significato e vuol dire “vero”, “nuovo” e “divino”. Vero per una forma di patriottica paternità con la quale la Toho vuole riappropriarsi di una creatura che appartiene alla tradizione nipponica, anche se ormai sdoganata anche altrove; Nuovo perché Shin Godzilla, di fatto, pone un nuovo inizio presentandosi come capitolo 1, un vero e proprio reboot  che non tiene conto degli oltre 60 anni di vita del brand; Divino perché, come in passato, Godzilla è mostrato come una divinità vendicativa, quasi l’incarnazione della Natura che si rivolta contro l’uomo-parassita che la violenta con i propri artifici bellici. Se nel 1954 Godzilla era la risposta alle esplosioni nucleari di Hiroshima e Nagasaki, ora la mente (e i riferimenti palesi) vola verso le stragi di Fushima e il mostro radioattivo si fa nuovamente simbolo delle paure del popolo giapponese… un popolo che teme l’acqua più di ogni altra cosa e che vede la venuta del mostro proprio attraverso l’oceano.

Strani fenomeni sismici allertano le autorità e il Governo comincia a preparare un piano d’emergenza, ma quando una gigantesca coda viene avvistata al largo di Tokyo e poi una creatura raggiunge le coste della capitale nipponica gettandosi in una disperata corsa tra le abitazioni, il panico raggiunge il suo apice. Il mostro, che viene battezzato dai media Godzilla, comincia ad evolversi sviluppando anche una distruttiva arma radioattiva e mentre il gabinetto del Primo Ministro brancola nel buio e Tokyo viene evacuata, comincia a prospettarsi l’idea di gettare una bomba atomica sulla città per fermare il mostro.

Dalla sinossi potreste pensare che Shin Godzilla è il “classico” Godzilla, eppure non è così. I registi Hideaki Anno, noto per la serie animata Neon Genesis Evangelion, e Shinji Higuchi, stimato effettista, omaggiano la tradizione del kaiju-eiga ma allo stesso tempo vogliono realmente rinnovare il franchise riformulando il look di Godzilla e fornendo un punto di vista inedito sulla vicenda. I protagonisti di Shin Godzilla non sono eroici padri di famiglia, militari, né tantomeno gli stessi mostri, ma un indefinito manipolo di uomini di Governo che cercano in tutti i modi di risolvere una crisi di Stato. Ecco, croce e delizia di Shin Godzilla è proprio questa scelta suicida di sacrificare quello che ha reso grande nell’immaginario collettivo questo franchise in favore di un aspetto politico davvero inaspettato per un film di questo genere.

Se da una parte è apprezzabile la scelta di svecchiare un brand con un taglio così radicale, soprattutto tenendo uno sguardo critico sull’operato governativo giapponese e internazionale, dall’altra dispiace veder sprecato così il ritorno di un Mostro magnifico come Godzilla. Si, sprecato, perché su due ore piene di film, tre quarti abbondanti sono spesi negli uffici governativi a vedere indistinguibili ometti in giacca e cravatta che discutono su come risolvere la situazione. Una scelta che alla lunga diventa frustrante e si cede allo sbadiglio perché, parliamoci col cuore in mano e con tutta sincerità, se andiamo a vedere un film su Godzilla ci aspettiamo di assistere a uno spettacolo di distruzione in cui uno o più mostri riducono in macerie intere città e non la versione giapponese di West Wing. E l’impressione di occasione sprecata cresce quando vediamo Godzilla in azione in quel paio di scene di distruzione in cui mostra anche un look invidiabile e minaccioso.

Inoltre, porre Godzilla come “cattivo” della vicenda e non dare allo spettatore un protagonista umano vero e proprio, accresce il senso di noia e mancanza di partecipazione, visto che non c’è neanche la possibilità di identificazione in nessun personaggio del film.

Gli effetti speciali si basano su un mix di CGI, stop motion e prostetica con una resa davvero stupefacente, anche se una nota dolente va attribuita ai movimenti limitati del mostro che, purtroppo, gli danno un’aria di “finto” che cozza troppo con l’alone di realismo che aleggia su tutta l’operazione.

Lodevoli le musiche di Shiro Sagisu, solenni, epiche e molto vicine alla tradizione nipponica, nonché capaci di richiamare alla mente proprio Neon Genesis Evangelion, a cui il compositore ha lavorato.

Insomma, visto il grande ritorno di un mito del cinema nelle mani di chi l’ha creato ci si poteva aspettare qualche cosa di più, soprattutto nell’ottica del cinema d’intrattenimento di cui Godzilla è uno dei più grandi rappresentati. Purtroppo, soprattutto all’indomani del bellissimo film di Gareth Edwards che omaggiava il Re dei Mostri con rispetto e senza dimenticare cosa è un film di mostri, un prodotto come Shin Godzilla appare anacronistico e avulso da un’ottima concorrenziale di mercato.

Shin Godzilla è nei cinema italiani solo il 3-4-5 luglio distribuito da Stardust in collaborazione con Dynit e Minerva Pictures.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Il look del mostro.
  • Le musiche di Shiro Sagisu.
  • Quando Godzilla è in scena spacca… peccato che ci sia pochissimo!
  • Ambientare per gran parte del tempo la vicenda nella sede governativa nipponica è un ko mostruoso e il film risulta verboso, fiacco e noioso.
  • I movimenti “finti” del mostro cozzano con l’alone di realismo.
  • Manca un protagonista e quindi è molto difficile immedesimarsi nella vicenda.
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