Sieranevada, la recensione

Bucarest è fredda e ingolfata di traffico, l’orrore di Charlie Hebdo è (temporalmente) a un tiro di schioppo,  l’occasione è la morte del patriarca, una commemorazione nella casa del defunto. La vedova, una pletora di familiari, uomini di chiesa e qualche presenza imprevista. Inevitabilmente, lo spazio è angusto, la truppa numerosa, il vitto latita.

Christi Puiu abbozza con Sieranevada un affresco della Romania contemporanea amaro, buffo, malinconico, di un’incredibile onestà nella definizione dei caratteri, delle sfumature, delle intonazioni, delle parole, dei gesti.

È intimo, politico, doloroso e liberatorio. L’equilibrio si salda al punto di congiunzione tra numerose contraddizioni. La regia è democratica quanto basta per permettere a ciascun personaggio di sviluppare un discorso fatto di rimpianti, idiosincrasie e risate e vivere nell’immaginazione dello spettatore come una figurina ben modellata, a tre dimensioni, e al contempo sufficientemente autoritaria da isolare nel marasma un profilo, quello di Lary (Mimi Branescu), figlio primogenito dello scomparso, e informare il film del suo punto di vista.

Lo spunto di partenza è vagamente autobiografico.

Il caos orchestrato da Puiu è un magnifico congegno ad orologeria, un’anarchia cesellata al millimetro, il massimo dell’autenticità ottenuto al prezzo di una pianificazione maniacale, incorniciata formalmente da, perdonate l’abominevole gioco di parole, una “sequenza di piani sequenza” fabbricati con un’attenzione al dettaglio che restituisce nelle posture, nei ritmi, nelle parole, che spaziano tra il privato e l’universale, il complottismo post 11 settembre, l’apologia di Ceausescu, storie di corna, memorie d’infanzia, la litania del rito, un rigurgito di verità dolorosamente agognato.

La famiglia di Lary, che parla vive e si muove come ogni famiglia nella storia del mondo presente passata e futura – e non si tratta di un’esagerazione, il livello di verosimiglianza cui si assesta il film è quasi osceno, scandaloso – è fatta di carne e anima alla ricerca della verità. Dentro di sé, fuori di sé, nel particolare, nell’universale.

La casa, la città, i personaggi di Sieranevada sono dati fisici, reali, dall’incredibile valenza simbolica. La posta in gioco è una riflessione sulla condizione umana che non è mai sviscerata con toni solenni e pomposità non richieste, ma con una grazia temperata in parte dalla lunghezza monstre (173 minuti) del film, ed ha ragione… ha perfettamente ragione chi ha scritto che Sieranevada da l’impressione di essere al contempo troppo lungo e troppo breve.

Delittuosamente passato in concorso a Cannes 2016 senza mietere allori, Sieranevada cerca di diluire l’amarezza dei suoi contenuti e la potenza della sua confusione rispondendo con una risata che magari non sarà salvifica, con ogni probabilità neanche liberatoria, comunque necessaria. Si ride per non piangere? La banalità della massima non inganni, dietro la mancata originalità della morale, la favola cela verità, emozione, talento.

Francesco Costantini

PRO CONTRO
  • L’orchestra dei volti, delle parole, dei movimenti, di questo straordinario affresco corale.
  • Sieranevada è un bel titolo, affascinante, evocativo. Oltretutto, è intraducibile, ciò che risparmia le consuete storpiature che sono quasi una tassa, dalle nostre parti.
  • 173 minuti e si sentono tutti. Il film non annoia mai, ma è lungo, molto lungo. Il rischio è lo scoraggiamento a priori dello spettatore.
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Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Valutazione: +1 (da 1 voto)
Sieranevada, la recensione, 8.0 out of 10 based on 1 rating

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