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Il ritorno di Casanova: l’ultima fatica di Gabriele Salvatores con Toni Servillo disponibile in blu-ray
C’è dell’incredibile in quello che è successo alla Settima Arte una volta superata la triste piaga del covid. Molti stimati autori, sia nazionali che internazionali, pare abbiano avuto contemporaneamente la stessa necessità di riflettere sul Cinema e di conseguenza sulla loro vita. Un cinema da intendere al tempo stesso come massima espressione dell’arte, come linguaggio narrativo ma anche come semplice luogo fisico in cui può avvenire qualcosa di magico. Una necessità artistica di riflettere inevitabilmente su sé stessi, sul loro mondo, su un cinema che nel suo essere squisitamente totalizzante riesce ad essere molto di più che un semplice mestiere. Ha aperto le danze Paolo Sorrentino con È stata la mano di Dio, poi è arrivato Alejandro G. Iñárritu con il bellissimo e non-capito Bardo, la cronaca falsa di alcune verità, poi è stata la volta di Steven Spielberg con The Fabelmans, e subito dopo di Damien Chazelle con lo strabordante Babylon e persino Sam Mendes con l’altrettanto sottovalutato (anzi, proprio ignorato) Empire of Light. Al termine di questa coda troviamo anche il simpatico Gabriele Salvatores che, dopo una serie di film messi poco a fuoco, utilizza una scoppiettante coppia d’attori come Toni Servillo e Fabrizio Bentivoglio per portare in scena una riflessione nostalgica e amara sull’età che avanza applicata al mondo del Cinema. Il ritorno di Casanova è da pochi giorni disponibile in home video, sia in alta definizione blu-ray che in DVD, grazie ai canali distributivi di Eagle Pictures.
Il ritorno di Casanova, la recensione
Leo Bernardi è uno stimato e pluripremiato regista italiano che, superarti ormai i sessant’anni da un po’, si ritrova ad abbracciare una crisi esistenziale e professionale che lo sta mettendo alle corde. Ha da poco finito di girare il suo ultimo film, un adattamento cinematografico de Il ritorno di Casanova dello scrittore austriaco Arthur Schnitzler, ma adesso qualche cosa di intimo e molto personale sembra porsi fra lui e la fine del montaggio. Leo non vuole chiudere il suo film, tergiversa in ogni modo alla ricerca costante di una paventata perfezione, e ciò lo porta inevitabilmente in rotta di collisione con il suo caro amico e mentore Gianni, il montatore di tutti i suoi film, e con Alberto, il suo produttore storico che già sta vendendo la premiere de Il ritorno di Casanova al Festival di Venezia. Ma che cos’è che frena Leo Bernardi nel chiudere il suo film? Semplicemente la paura di non essere più infallibile come un tempo. La paura nei confronti d’aver fatto peggio di Lorenzo Marino, un giovane regista osannato dalla critica e anche lui in procinto di presentare il suo nuovo film a Venezia e la paura nei confronti di Silvia, una giovanissima contadina di cui si è innamorato e che adesso vive con lui sotto forma di ricordo.
Il primo giorno della mia vita, la recensione
C’è sempre una possibilità per poter andare avanti nella vita, ma non tutti lo sanno. Bisogna essere in grado di non lasciarsi sopraffare dagli eventi e di non cedere davanti alle difficoltà. I quattro protagonisti (due donne, un uomo e un bambino) de Il primo giorno della mia vita, il quattordicesimo lungometraggio di Paolo Genovese, che esce nelle sale cinematografiche il 26 gennaio, sono degli outsiders, persone che hanno toccato il fondo e hanno deciso di farla finita, scegliendo la strada del suicidio.
Venezia79. Il Signore delle formiche, la recensione del film di Gianni Amelio
“Il Signore delle formiche verrà etichettato come il film del caso Braibanti ma è di più. È una grandissima storia d’amore tra un uomo e un ragazzo. Una storia autobiografica; molto autobiografica“. Queste sono le precise parole pronunciate, con emozione, dal regista Gianni Amelio durante la conferenza stampa di presentazione del suo ultimo film alla 79ª Mostra del Cinema di Venezia. Ed è un film di cui, siamo sicuri, si parlerà a lungo per mille motivi.
Siamo a metà degli anni Sessanta. Nella civile Europa esistevano paesi, come l’Inghilterra, in cui l’omosessualità era ancora un reato penale mentre in Italia era considerata “solo” una malattia da curare con metodi brutali come l’elettroshock. La società evitava con cura di pronunciare anche la parola “omosessuale” perchè ritenuta talmente scandalosa da dover essere cancellata completamente dal parlato comune.
Lo Spietato, la recensione
Va da sé.
È ovvio.
È scontato.
Insomma, ça va sans dire.
Sentirete questa frase praticamente sempre, durante l’ora e quarantasette minuti del film Lo Spietato.
E lo ripeterete, più è più volte.
Perché?
Perché Riccardo Scamarcio lo dice in un modo così vero, simpatico e genuino, che non potrete più farne a meno.
In viaggio con Adele, la recensione
Aldo Leoni è un attore teatrale navigato che, negli ultimi anni, si è saputo distinguere nella messa in scena del Cyrano de Bergerac. Dopo tanti anni di desiderata carriera nel mondo del cinema, finalmente il sogno di Aldo sembra avverarsi: lo stimato regista francese Patrice Leconte sta per realizzare un adattamento cinematografico dell’opera di Edmond Rostand e ha messo gli occhi proprio su Leoni per il ruolo del protagonista. Alla vigilia del prezioso provino, però, Aldo riceve una telefonata inaspettata che lo avvisa dell’improvvisa morte di Margherita, ovvero l’unica donna che Aldo sia riuscito ad amare veramente. Incapace di restare indifferente, Aldo sente il bisogno di recarsi a Foggia per dare un ultimo saluto alla donna. Tutto è calcolato al dettaglio, andata e ritorno in quattro ore così da essere preparato e puntuale per il grande provino con Leconte. Le cose si complicano quando, nel cuore del funerale, Aldo scopre che Margherita aveva una figlia, Adele, una ragazza “speciale”, o per meglio dire “neuro-diversa”. Una bambina intrappolata in un corpo ormai adulto che veste solo con un pigiama rosa con le orecchie da coniglio e incapace di separarsi dal Gatto immaginario chiuso costantemente in una trasportina altresì rosa. Quando Aldo scopre di essere il padre di Adele, tutti i suoi piani vengono drasticamente sconvolti.
Brutti e Cattivi, la recensione
Presentato in concorso Orizzonti alla 74esima Mostra dell’Arte Cinematografica di Venezia, Brutti e cattivi, opera prima del regista italiano Cosimo Gomez, è un tripudio di eccessi senza filtri, ma di quelli che ci piacciono.
Papero (Claudio Santamaria) figlio di circensi e nato senza gambe (con un fratello siamese, Pollo, da cui è stato separato in tenera età), è sposato con la Ballerina (Sara Serraiocco) bellissima ragazza senza braccia ma con i piedini “magici” con cui fa tutto (ma proprio tutto…).
Deciso a dare una svolta alla sua vita, Papero organizza il colpo perfetto che gli frutterà un sacco di soldi e la possibilità di farsi (finalmente!) un bel paio di gambe nuove. Insieme all’amico Merda (Marco D’Amore), un rasta strafatto, e al nano rapper Plissé (Simoncino Martucci) riesce a rapinare la banca come da piani. Ad aspettarlo sulla strada del ritorno troverà però un’amara verità, che lo costringerà a una travagliata avventura per riacquistare il controllo della sua vita e soprattutto dei “suoi” soldi.
Non è un paese per giovani, la recensione
È ormai un fatto risaputo che lo stato di crisi in cui versa il nostro paese ha costretto tanti giovani tra i venti e trent’anni a trasferirsi all’estero per cercare un futuro migliore e mettere a frutto in ambito lavorativo le conoscenze acquisite nel corso del lungo percorso di studi universitari. E non è neanche una novità che il cinema italiano, e in particolare la commedia, da sempre molto legata al contesto socio–culturale che la circonda, abbia la tendenza a raccontare tale fenomeno e a offrire così uno spaccato di un’epoca. L’ultimo titolo, in ordine temporale, appartenente a questo filone è Non è un paese per giovani, nuovo film di Giovanni Veronesi, nel quale viene raccontata l’avventura di due giovani italiani che si recano a Cuba in cerca di fortuna. Le buone intenzioni, però, lasciano subito spazio ad una pellicola che tratta un argomento così nobile complesso con un approccio semplicistico e uno sviluppo approssimativo.
La ragazza del mondo, la recensione
Deve avere un gran fegato Marco Danieli, lunga esperienza nell’universo dei corti, qui al primo lungometraggio, per imporre all’attenzione del pubblico un tema come quello dei Testimoni di Geova. L’argomento è spinoso, centro di inchieste giornalistiche e attenzioni di curiosi mass media ai quattro angoli del globo. Chi vuole recarsi al cinema per analizzare una realtà così lontana e, allo stesso tempo, così vicina a tutti noi, non ne rimarrà deluso. La fotografia scattata al movimento religioso da parte di Danieli con La ragazza del mondo è fedele: regole rigide, ferree, praticamente militari, interpretate da persone che all’apparenza sembrano così docili e sempliciotti. Un’apparente incongruenza. Ed è sulla base di un distacco fra due realtà che si contrastano, si sfiorano e (sembra) si completino, che si sviluppano i 104 minuti della pellicola scritta e diretta dal regista diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia.