The Informer – Tre secondi per sopravvivere, la recensione

La lunga e collaudata tradizione del crime movie a stelle e strisce che ci mette nei panni di un informatore della polizia o un polizotto sotto copertura in gang criminali ha avuto un picco nei primi anni del terzo millennio grazie all’apporto al genere fornito da David Ayer, sia come sceneggiatore che regista, che ha aperto la strada a tutto un filone crime urbano che affonda le mani nella corruzione delle forze dell’ordine. L’italiano Andrea Di Stefano, che nel 2014 aveva diretto il solido Escobar – Paradise Lost con Benicio Del Toro, torna a raccontare vicende di criminalità e violenza percorrendo proprio la strada tipicamente ayeriana con The Informer – Tre secondi per sopravvivere.

L’ex-marine Pete Koslow lavora per l’FBI come infiltrato in un clan criminale polacco che gestisce un importante traffico di stupefacenti a New York. Ma durante un’operazione che avrebbe dovuto condurre i federali al Generale, capo del clan, qualcosa va storto e un poliziotto sotto copertura viene ucciso. Di conseguenza la polizia di New York inizia a indagare su Pete e, aspettando che si calmino le acque, il Generale chiede all’uomo di farsi arrestare per gestire un traffico di droga in prigione. Pete non ha scelta e, con la complicità dell’FBI, si fa richiudere nel carcere di Bale Hill, ma cavarsela in prigione non sarà affatto semplice.

The Informer - Tre secondi per sopravvivere

Liberamente ispirato al romanzo Tre secondi di Anders Roslund e Börge Hellström, The Informer è un progetto che circola sulle scrivanie di Hollywood già da diversi anni. Rimandato più volte, finito di mano in mano tra molteplici riscritture e legato sempre e comunque al nome di Rosamund Pike per il ruolo dell’agente Wilcox, The Informer è stato in ultimo affidato ad Andrea Di Stefano, passato da attore (Il fantasma dell’Opera di Dario Argento, Cuore sacro di Ferzan Ozpetek ma anche Vita di Pi di Ang Lee) ed esordio alla regia con il buon successo di pubblico e critica di Escobar – Paradise Lost, che riscrive (ulteriormente) la sceneggiatura insieme a Rowan Joffe (28 settimane dopo, Before i go to sleep). Il risultato è un solido e interessante thriller metropolitano che, a un certo punto, si trasforma in dramma carcerario, richiamando alla memora per duro realismo il recente La fratellanza di Ric Roman Waugh.

Non c’è nulla di nuovo in The Informer e si notano a più riprese le influenze da certo cinema action realistico di produzione post 2000, ma allo stesso tempo di respira un’aria di freschezza tipicamente europea, si capisce subito di essere alle prese con un film libero da certi vincoli delle majors, che sa osare quando c’è da tirare in ballo la violenza più truculenta e sa sporcarsi le mani denunciando un sistema corrotto che non si fatica a immaginare reale. Reale, anzi realistico, come nei risvolti della trama, nella descrizione dell’ambiente carcerario, nella delineazione di alcuni personaggi. E se il poliziotto sospettoso interpretato da Common è il classico bellimbusto senza macchia e senza paura tipico di certo cinema a stelle e strisce, il protagonista interpretato da Joel Kinnaman possiede quell’umanità e quella vulnerabilità capaci di trasportare emotivamente lo spettatore. Di maniera l’agente federale a cui da volto Clive Owen, più intensa e molto personale l’interpretazione di Rosamund Pike, ben caratterizzata e più centrale del previsto la moglie del protagonista interpretata da Ana de Armas.

The Informer - Tre secondi per sopravvivere

Un film che nel complesso convince perché intrattiene con semplicità e sincerità pur non apportando nulla di nuovo al genere… e venire a conoscenza che è costato solo 5 milioni di dollari, nonostante appaia ben più ricco, accresce il suo valore.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
Buon intrattenimento che possiede quel quid capace di contraddistinguerlo dalla massa. Di fatto racconta una vicenda che già molto cinema di genere ha raccontato.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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