Ti presento Sofia, la recensione
Gabriele è un ex rocker che ha preferito chiudere nel cassetto i suoi sogni da musicista per aprire una più sicura attività da commerciate come venditore di strumenti musicali. Ma Gabriele è anche un papà divorziato la cui vita ruota solo ed esclusivamente attorno a quella di Sofia, la sua bambina di dieci anni. Dopo il divorzio, Gabriele non è stato più in grado di ricominciare una storia con un’altra donna, un po’ per mancanza di voglia e un po’ per colpa del suo mettere sempre al centro di tutto la piccola Sofia. Un giorno Gabriele rincontra Mara, amica di vecchia data di cui è sempre stato innamorato. Ora Mara è diventa una fotografa affermata e dinamica. Tra i due scoppia subito la scintilla ma, al primo appuntamento, la donna rivela subito all’uomo di odiare in modo assoluto i bambini e che non intende per nessuna ragione avere figli. Travolto dalla passione, Gabriele decide di negare l’esistenza di sua figlia e spacciare Sofia per la sua invadente sorellina.
Continua l’avanzata dei “remake” prodotti dalla Colorado Film e così dopo Fuga di cervelli, Ma che bella sorpresa, Belli di papà e I babysitter arriva nelle sale italiane l’adattamento tricolore di una piccola commedia argentina prodotta solamente nel 2015: Se permetti non parlarmi di bambini (Sin Hijos) diretto da Ariel Winograd.
Nulla di particolarmente entusiasmante, eppure la commedia argentina funzionava bene. Merito, più che altro, di un’intuizione tanto semplice quanto geniale capace di rendere innovativa la classicissima formula dello scambio dei ruoli e, soprattutto, di riuscire a giocare in modo astuto e intelligente con i più risaputi stereotipi (maschili e femminili) della commedia europea e americana. Nel film di Winograd, infatti, l’uomo si ripulisce da quell’onta di cialtrone scansafatiche e opportunista per divenire un padre amorevole e disposto a tutto pur di veder sorridere sua figlia. Al contrario, invece, è la donna che porta i pantaloni ed evade dall’ombra maschile per diventare autonoma, arrivista ed anche un po’ godereccia.
Idee semplici, come detto, ma capaci di fare la differenza all’interno di un genere decisamente saturo che sembra non sapere più cosa inventarsi.
Se consideriamo che l’Italia vanta una grandissima tradizione di commedie incentrate sullo scambio dei ruoli (basti vedere una qualunque commedia all’italiana prodotta tra la seconda metà degli anni ’70 e la prima degli ’80), va da se che il format alla base di Se permetti non parlarmi di bambini abbia stuzzicato il palato di una casa di produzione che si sta specializzando nel “remakizzare” commedie provenienti dall’estero.
Si arriva così a Ti presento Sofia, co-sceneggiato e diretto da Guido Chiesa e totalmente affidato alla verve brillante di due prestigiosi nomi dell’attuale cinema italiano: Fabio De Luigi e Micaela Ramazzotti.
L’operazione condotta da Chiesa è quella di realizzare un remake davvero tanto fedele all’originale, quasi la copia carbone, che non solo riutilizza l’idea di base ma anche tutte le situazioni e persino interi dialoghi. Così, se chi si avvicina a Ti presento Sofia ha già visto l’opera argentina, è impossibile sfuggire all’effetto del deja-vu continuo, con la sola differenza – fondamentale – che sia De Luigi che la Ramazzotti non riescono in nessun momento ad eguagliare la simpatia e la spontaneità dei due protagonisti “originali”, ossia Diego Peretti e Maribel Verdù. Non che i due attori italiani non siano stati bravi o all’altezza dei ruoli, anzi la scelta di casting appare persino vincente dal momento che i due appaiono persino somiglianti ai modelli originali, ma si ha la sensazione costante di vedere un’imitazione, con attori incapaci di esprimersi in toto poiché costretti a recitare la parte e le battute pensate e scritte per altri.
Questa sensazione di “imitazione” sortisce effetti negativi non solamente sulle performance dei due protagonisti ma proprio sull’andamento generale dell’intero film. Ogni momento e ogni situazione (drammatica o comica) appare poco spontanea. Ti presento Sofia non fa quasi nulla per donare del suo alla storia così che lì dove il film originale appariva frizzante e simpatico, questo risulta forzato e fiacco. I momenti divertenti sono praticamente assenti e la piega drammatica, che subentra nell’ultimo atto, finisce per prendere il sopravvento sul mood dell’intero film. Ne viene fuori una commedia per nulla spiritosa, dal look fortemente televisivo e che si abbandona persino a qualche momento di noia, con alcune piccole forzature narrative negli ultimi minuti di film che hanno davvero il sapore di buchi di sceneggiatura.
Dispiace, inoltre, che nella migrazione dall’Argentina all’Italia si sia persa anche quella leggera nota di politicamente scorretto che caratterizzava il film di Winograd. Il remake di Chiesa, infatti, appare molto più addomesticato sia nel linguaggio che nella delineazione di alcuni personaggi secondari, come accade per Beppe, il miglior amico di Gabriele, o il papà di quest’ultimo che da squallido donnaiolo con il chiodo fisso per la “patata” diventa un mite mago-cameriere con il volto e la parlata di Shel Shapiro.
Funziona piuttosto bene la piccola Sofia, interpretata da una brava e convincente Caterina Sbaraglia, così come risulta simpatico e in parte Andrea Pisani, che nel film interpreta Chicco, il fratello minore di Gabriele, giovane talento che riesce sempre a donare il giusto spessore a personaggi “secondari” che in mano ad altri, probabilmente, non sarebbero emersi alla stessa maniera.
C’è davvero poco altro da aggiungere, Ti presento Sofia è un remake che purtroppo non funziona e che, nonostante la forte italianità del soggetto, risulta una commedia poco ispirata che non riesce a rielaborare e a far propria quella genialità che rendeva vincente Se permetti non parlarmi di bambini.
Giuliano Giacomelli
PRO | CONTRO |
Il soggetto di base, ereditato dal film argentino, racchiude tanti spunti divertenti.
L’interpretazione di Caterina Sbaraglia e Andrea Pisani. |
Un remake senza un vero motivo di esistere.
Fabio De Luigi e Micaela Rammazzotti non hanno la giusta grinta. Si perde quella nota di politicamente scorretto. Qualche buco di sceneggiatura. Grandi problemi di ritmo. |
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