Troppa grazia, la recensione

Lucia è una ragazza più o meno come tante, con una storia più o meno come tante, una vita di disagi simile a tante altre vite, ma con una peculiarità: Lucia vede la Madonna. Non solo la vede: ci parla, ci litiga e se le danno di santa ragione!

Lucia (Alba Rohrwacher) è una geometra pignola, specializzata in rilevamenti catastali. Mentre nel suo lavoro, precario, tenta di essere il più precisa possibile, la vita le sfugge completamente di mano. Si ritrova a vivere con una figlia avuta a 18 anni da un amore passeggero e ha appena chiuso una relazione con Arturo (Elio Germano). Nel caos, approfittando della vulnerabilità della nostra geometra, il sindaco del paese, Paolo (Giuseppe Battiston), le affida il compito di effettuare un rilevamento su un terreno dove un imprenditore vuole costruire un impero di cemento, una sorta di polo culturale/centro commerciale. Su quel terreno demaniale, però, c’è un problema che Lucia individua istintivamente subito, ma che non riesce a focalizzare ed è proprio là che, mentre Paolo le chiede di “chiudere un occhio”, gli occhi di Lucia vedono una figura femminile (Hadas Yaron), abbigliata come una profuga, che le ordina di far costruire una chiesa al posto dello scempio edilizio. Lucia non si sente affatto benedetta dall’apparizione e fa di tutto per sottrarsi a quella sfiga.

Troppa Grazia, il nuovo film di Gianni Zanasi, in uscita il 22 novembre dopo la première alla Quinzaine des Realisateurs di Cannes, sfrutta l’attualità più che gli immaginari antichi. Dimenticate i tre pastorelli di Fatima! In questo caso l’apparizione mariana acquista un peso ben diverso da tutta la cinematografia classica sulla religione e similari.

Troppa grazia è un film stra-ordinario, nel senso che è fuori dall’ordinario. Il registro utilizzato è curioso, una commedia ibrida, difficile da inquadrare, alla quale si riconosce un’ottima idea di fondo, purtroppo non gestita al meglio. “Ne è venuto fuori un film piacevolmente “ibrido”, “transgender” – scherza Zanasi – complesso come è la vita”. Al di là della storia, il tema trattato con i toni leggeri riguarda la spiritualità e quanto siamo disposti a darle spazio nelle nostre vite: “La Madonna, per tutti noi – raccontano il regista e gli attori – è quel momento in cui ci fermiamo e stiamo ad ascoltare, e quindi è un momento divenuto rarissimo nella nostra quotidianità frenetica. Non abbiamo più tempo per nessuno, figuriamoci se ascoltiamo una vestita con un velo blu che ci dice di costruire una chiesa sulla collina! E questo è un fatto inedito, persino per la Madonna che da duemila anni quando qualcuno le parla viene rigorosamente ascoltata!”. La cosa curiosa è che in questo momento storico nessuno le obbedisce. Il gruppo dei veggenti di Medjugorje si metteva sull’attenti ad ogni apparizione mariana, oggi Lucia, invece, si defila: “Ho da portare a casa i soldi, secondo te posso mettermi a costruire una chiesa?

La Madonna, bellissima e bistrattata, è un richiamo primordiale, per la protagonista, a riconnettersi con se stessa e con la sua vita. Lucia non è scelta a caso, fa un lavoro che ha a che fare con la terra dove è nata e cresciuta e per denaro, potrebbe perdere la “retta via”. Per questo quando le appare, la Madonna è molto arrabbiata.

Si parla anche di ambiente, salvaguardia del territorio e di tutte quelle battaglie necessarie per il futuro dell’Umanità; tematiche che, grazie a Zanasi, forse per la prima volta, vengono affrontate con una verve vagamente comica. Ci si interroga e ci si chiede come sia possibile che la società contemporanea non sia terrorizzata dalle catastrofi ambientali dovute al cambiamento climatico. Gli scienziati ci danno pochi anni di autonomia, dopo di che la distruzione sarà irreversibile. Non ci resta che pregare o agire?

L’istinto che fa da propulsore a tutta la macchina filmica è quello del personaggio di Lucia, ma anche quello stesso di Alba Rohrwacher, che in questo ruolo mette a disposizione corpo, mente e cuore senza mai tirarsi indietro. La Rohrwacher si abbandona alla storia (anche nei passaggi in cui sembra sgretolarsi) e alla guida del regista con la stessa impavida titubanza della geometra abituata alla razionalità e messa alla prova dal soprannaturale. Lucia è un personaggio luminoso ed essenziale che mantiene quella credibilità anche quando viene sfidata dagli sviluppi di una trama che incalza, provoca e spiazza anche lo spettatole.

A far da cornice a eventi e sentimenti è una sceneggiatura sincera e semplice, che immerge Lucia in una cittadina e una campagna omaggiate da una fotografia ricca di colori saturi e brillanti: metafora di un universo in cui i miracoli possono accadere, anche oggi che credere sembra diventato impossibile.

Troppa grazia è anche un po’ una lettera destinata a chi non si accontenta in un’epoca in cui accontentarsi sembra l’unica via ed è un’ode pagana anche per un’artista, come Alba Rohrwacher, che crede nella propria creatività e continua a rispondere alla chiamata del bello. “E’ un momento di fragilità e di incertezza quello che tutti noi viviamo – dichiara l’attrice – l’arte da sempre è anticipatoria, guarda a qualcosa di intangibile. Non mi spiego altrimenti perchè vedo tanti film che sfiorano il tema. La spiritualità, la religione è un territorio da indagare“. Metaforicamente, Troppa grazia parla del senso del cinema stesso e del mestiere dell’attore: è un film sulla capacità di credere, principio che muove il lavoro di un attore. Riuscire a credere, e a far credere, a qualcosa che non esiste.

Troppa grazia è una commedia garbata e surreale, dal taglio ambientalista e socialmente plausibile che purtroppo si perde dopo la prima metà e lascia lo spettatore con più domande che risposte. Provando a tenere il magico dentro il reale, il mondo dell’infanzia e quello degli adulti, l’innocenza e la corruzione, l’emozione non controllata dal razionale il film perde colpi. La narrazione è coerente fino ad un certo punto, dopo il quale le ottime intenzioni dell’inizio perdono forma e sostanza e le fila narrative ne risentono. Senza infamia e senza lode: peccato!

Ilaria Berlingeri

PRO CONTRO
  • L’impegno di Alba Rohrwacher.
  • La fotografia.
  • Troppi buchi narrativi.
  • Una buonissima idea di fondo non sviluppata come avrebbe meritato.
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