TSplusF20. The Trouble with Being Born, la recensione

Il fascino che i robot senzienti esercitano sul cinema è noto e tra derive thriller con le macchine pronte mostrarsi offensive verso i propri creatori e più morbide elucubrazioni sentimental-esistenziali, siamo dinnanzi a un tema trattato in molte occasioni e in tutte le salse. Quello che fa l’austriaca Sandra Wollner con The Trouble with Being Born è inserirsi nel filone esistenziale ma tentando la carta della morbosità scabrosa, tenendo sull’opera un approccio autoriale molto netto.

Al suo secondo lungometraggio dopo l’ostico The Impossible Pictures (2016), Sandra Wollner ha portato The Trouble with Being Born prima alla Berlinale 2020 e poi al Trieste Science + Fiction Festival, tirandosi dietro non poche polemiche per il modo in cui ha mostrato la sua baby-robot, ovvero svestita, in atteggiamenti ammiccanti e intrappolata in una relazione amorosa (e di sesso) con un adulto. The Trouble wirh Being Born racconta proprio l’esistenza di un’androide che replica le fattezze di una bambina di 10 anni proprietà di un uomo che ha perso la figlia quando aveva quell’età (è fuggita di casa, probabilmente proprio per le troppe attenzioni del padre). L’uomo la accudisce proprio come una figlia, non le fa mancare nulla, è affettuoso e amorevole, ma la utilizza anche per scopi ben poco nobili. Quando la robottina, chiamata Elli, fugge di casa come in un inconscio replicare le azioni di colei che ha sostituito, finisce in possesso di un’anziana signora che la fa riprogrammare, cambiar sesso e modellare sulle fattezze del figlio morto molti anni prima, quando era solo un bambino.

The Trouble with Being Born

La Wollner cerca di esplorare la dimensione del ricordo inquadrando la memoria come un’essenza trasmissibile e allo stesso tempo indelebile. Elli si fa portatrice della memoria della bambina scomparsa reiterando le sue azioni e allo stesso tempo diventa l’elemento capace di innescare i ricordi anche in altre persone, come accade all’anziana signora che sembrava aver dimenticato ormai il figlio morto finché la presenza del robot le riaccende tutta una serie di ricordi, azioni quotidiane, sentimenti. Il robot diventa quindi il custode della memoria umana, un complesso contenitore di vite utile a far vivere in eterno il ricordo di chi non c’è più. Una riflessione molto interessante che rimane l’elemento intrinsecamente più stratificato del film, anche se c’è la sensazione che in fondo molto (troppo) rimanga non detto e non perché lasciato all’interpretazione dello spettatore ma piuttosto non approfondito.

The Trouble with Being Born

Infatti, la Wollner appare eccessivamente compiaciuta nel dare al suo film un alone autoriale a tratti gratuito, finendo per tralasciare alcune basilari patch narrative che avrebbero aiutato a far guadagnare punti a un’opera comunque interessante e affatto banale. L’inutile aspect ratio in 4:3 che fa tanto indie di un certo livello, gli estenuanti silenzi, i massicci tempi morti che dilatano la percezione dello scorrere del tempo donano a The Trouble with Being Born un’aura di “antipatia a prescindere” che si poteva benissimo evitare. Guardando il film si ha quasi la sensazione di essere di fronte a un Lanthimos meno sagace e privo di ironia, un esercizio di stile che rischia di fagocitare l’ottimo bouquet di argomenti. Per fortuna non è del tutto così e The Trouble with Being Born riesce comunque a lasciare il segno, rimane nello spettatore e lo fa riflettere, anche e non solo sulle possibilità della tecnologia nella compensazione delle emozioni umane.

The Trouble with Being Born

C’è da dire che fa un certo effetto assistere, nel primo atto del film, alle nefandezze di un uomo chiaramente malato, interpretato dal bravo Dominik Warta, un pedofilo che approfitta per i suoi ignobili scopi di una bambina – anche se robot – e lo fa con quell’amore, quella gentilezza estrema, quella delicatezza capace di creare un cortocircuito emozionale, quasi un’empatia. Per girare alcune scene decisamente forti, di nudo, i vestiti dell’attrice Lena Watson (è un nome d’arte, non sappiamo molto dell’interprete della piccola Elli) sono stati rimossi digitalmente e il suo volto “robotico” è stato creato con una maschera di silicone. L’effetto però è impressionante e potrebbe facilmente urtare la sensibilità di alcuni spettatori.

The Trouble with Being Born

In conclusione, The Trouble with Being Born è un’opera piuttosto complessa, soprattutto a livello concettuale, che riprende un discorso già affrontato con diverse declinazioni di genere in A.I. – Intelligenza artificiale di Steven Spielberg e in Eva di Kiké Maíllo andando però a toccare altre corde, meno interessato al sentimentalismo e più concentrato su un discorso nichilista e affatto consolatorio. L’eccesso urlato di autorialità in parte debilita la forza del film, ma il risultato è comunque valido.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Un’opera stratificata e complessa che stimola la riflessione anche oltre la semplice visione.
  • Viene toccato il tema della memoria in maniera molto originale.
  • Impressionante e straniante il lavoro svolto sul corpo della piccola attrice.
  • Tempi morti a iosa, resa visiva da cinema indie forzata danno al film uno strato di antipatia a prescindere.
  • Alcune immagini di nudo e atteggiamenti della piccola protagonista potrebbero effettivamente risultare disturbanti.
VN:R_N [1.9.22_1171]
Valutazione: 6.5/10 (su un totale di 2 voti)
VN:F [1.9.22_1171]
Valutazione: 0 (da 0 voti)
TSplusF20. The Trouble with Being Born, la recensione, 6.5 out of 10 based on 2 ratings

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.