Venezia 71. Anime nere, la recensione

Molti giornali hanno salutato Anime nere, il nuovo film di Francesco Munzi, come una delle rivelazioni italiane della 71° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, scrivendo del film “più applaudito” al Lido. Ovviamente non è così, forse la commedia con gli zombi di Joe Dante, presentata fuori concorso, ha ricevuto un’accoglienza più calorosa, il russo The Postman’s White Nights sicuramente è stato più applaudito, ma non è questo il punto. Anime nere non è di certo un film perfetto, ha il suo fascino e su questo non c’è dubbio, c’è un rigore stilistico che strappa senz’altro consensi, ma Francesco Munzi non è riuscito a cogliere l’anima del noir partenopeo e, soprattutto, non ha portato a casa uno script sufficientemente convincente.

La storia attorno a cui tutto ruota è quella di tre fratelli originari dell’Aspromonte. Il maggiore di loro, Luciano, è rimasto al paese con la sua famiglia, gli altri due sono migrati altrove: Rocco a Milano, Luigi addirittura in Sud America, dove ha messo su un traffico di droga. Il motivo che li ha portati a riunirsi è la voglia di fare chiarezza su un crimine che coinvolge la loro famiglia, una storia di clan rivali e di minacce che sembra aver messo in pericolo Leo, il figlio di Luciano.

anime nere

Raccontata così, la trama offre molte suggestioni, mutuate dal romanzo di Gioacchino Criaco da cui il film è tratto. Ma questo breve sunto è quasi difficile da estrapolare nei 105 minuti di durata dell’opera, che si fanno fumosi, un po’ confusi e danno l’impressione che si sia lavorato male in fase di scrittura. La sceneggiatura, curata dallo stesso regista insieme a Fabrizio Ruggirello e Maurizio Braucci, si sofferma male sulla costruzione dei tre fratelli, dando l’impressione che i personaggi non siano stati sufficientemente caratterizzati. Invece non è così, c’è perfino un lavoro introspettivo decisamente forte attorno a queste figure tragiche, solo che non viene percepito, almeno non a primo acchito. Piuttosto è evidente come la storia ci metta troppo a entrare nel vivo e troppo poco ad essere risolta. Nell’ora e tre quarti complessiva, cominciano ad “accadere cose” intorno al settantesimo minuto circa, con la conseguenza che ci sono solo 25-30 minuti per sviluppare e risolvere una storia che, a quel punto, si fa anche appassionante, non tralasciando sviluppi interessanti e colpi di scena. Ma il problema è, appunto, che i tempi sono gestiti male e anticipare le svolte narrative non avrebbe fatto altro che bene a un film che invece si percepisce come statico e poco coinvolgente.

Detto ciò, che a visione dello spettatore comune potrebbe compromettere completamente la riuscita del film, c’è da dire che Anime nere è realizzato benissimo, visivamente e stilisticamente.

I paesaggi calabresi sono fotografati con un piglio dark, spesso notturno, che si scontra con l’immagine che solitamente si ha di quei luoghi, solare e folkloristica. La violenza emerge a livello sottocutaneo, il malessere che si percepisce tra i personaggi del film è quasi inquietante, come se fosse parte del destino di quella gente. E infatti la ‘ndrangheta come descritta in Anime nere è quasi un virus, un’idea più che un fatto concreto, che contagia gli abitanti e si insinua nella loro anima (nera, appunto) seguendoli in capo al mondo.

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Guardando il film è inevitabile non pensare a Gomorra, anche se qui la ricercatezza visiva è meno invadente e si persegue con minore fierezza la strada del film di genere, malgrado Anime nere affondi completamente le sue radici nel racconto criminale.

Efficace il cast con Fabrizio Ferracane, Marco Leonardi e Peppino Mazzotta in testa, ma anche la presenza della sempre affascinante Barbora Bobulova si fa notare.

Peccato, dunque, che qualche cosa non deve essere andato per il verso giusto a livello narrativo, perché altrimenti Anime nere avrebbe potuto lasciare il segno. Così com’è, il film di Francesco Munzi è destinato ad essere dimenticato in fretta.

 Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Ottima atmosfera.
  • Bravi gli interpreti.
  • Narrativamente sbilanciato.
  • Una lunghissima parte preparativa che finisce irrimediabilmente per risultare tediosa.
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