Venezia 71. Arance e Martello, la recensione

Roma, estate 2011. E’ il giorno più caldo dell’estate più calda degli ultimi 150 anni. In altre parole, la giornata più afosa da quando l’Italia è unita. Un gruppo di attivisti della sezione del PD, sita nel quartiere San Giovanni, piazza un banchetto accanto al banco del pesce del mercato rionale con la speranza di raccogliere dieci milioni di firme per far dimettere Silvio Berlusconi. Quando la radio dà la notizia che l’amministrazione comunale vuole far chiudere il mercato, è subito caos. I commercianti si rivolgono proprio alla sezione del PD con richiesta di farsi supportare nella protesta. Trovare una sinergia non sarà semplice e a fine giornata i piccoli contrasti sfoceranno nella tragedia. In tutto ciò, il giornalista Diego Bianchi, nei panni di se stesso, è in procinto di girare un documentario sul mercato rionale di San Giovanni. Non tarderà a rimanere coinvolto nello scompiglio giornaliero documentando tutto con la sua videocamerina digitale.

Parliamo di Diego Bianchi. Conosciuto anche con il soprannome Zoro, Bianchi è un giornalista, un comico, un attore e un conduttore televisivo. Possiamo ricordarlo per la conduzione della trasmissione televisiva di stampo ironico-politico Gazebo, trasmessa nella seconda serata di Rai 3. Adesso, grazie a Fandango, già produttrice della trasmissione tv citata, Diego Bianchi diventa anche regista e con Arance e martello compie il suo esordio sul grande schermo.

arance e martello immagine 1

L’intento di rendere omaggio a Fa la cosa giusta di Spike Lee è più che mai esplicitato, a tratti persino eccessivo, e proprio come nel film di Lee l’intento è quello di raccontare la movimentata vita di un quartiere che diviene un vero e proprio microcosmo di etnie, ognuno con la propria cultura e le proprie usanze. L’opera di Lee viene omaggiata nelle idee, citata di continuo in un gioco che non tarda a divenire nauseante e plagiata stilisticamente con il medesimo utilizzo di una fotografia esageratamente gialla per enfatizzare la possente calura estiva.

Raccontare la vita “colorata” dello storico mercato rionale di San Giovanni a Roma utilizzando, di tanto in tanto, il modaiolo linguaggio del finto documentario poteva essere indubbiamente un’idea accattivante. Nulla di nuovo, certo, ma l’idea di unire il recente linguaggio “sporco” figlio del web con una tematica di stampo neorealista bastava a far salire quella giusta curiosità all’interno di un panorama cinematografico in cui si tende a sperimentare sempre troppo poco.

zoro

Peccato, però, che Bianchi abbia scelto di buttare nel water tutto il potenziale racchiuso nel suo film per seguire una strada del tutto infelice, quella del cinema politico, un filone che tende a prendere sempre più piede ma che non fa altro che generare mostri. Il cinema può essere politico, certamente, e la storia del cinema è piena di esempi illustri di film che hanno saputo farsi veicoli di un chiaro messaggio politico (basti ricordare l’intelligente Essi vivono! Di John Carpenter). In Italia, invece, proprio non si riesce a far convivere le due anime senza sprofondare in una carnevalata da pochi spiccioli. Il problema? Che sempre più spesso ci troviamo davanti non ad Artisti che veicolano un messaggio attraverso la loro Opera, ma a persone ricche di ego che vorrebbero fare politica ma si “accontentano” del cinema perché fa più intellettuale.

Diego Bianchi non si sottrae a questa regola e il suo Arance e martello è una sciocca ed irritante farsa, così presa nel lanciare continue strizzatine d’occhio all’attuale panorama politico italiano da non riuscire a funzionare né come commedia e né come film satirico. Il film si regge su una sceneggiatura esile e traballante in cui si susseguono dialoghi artificiosi, inutilmente ricercati e prolissi, troppo spesso farciti da parole come “fascio” e “compagno” e sempre alla ricerca di un motivo per tirare in ballo Silvio Berlusconi, Enrico Berlinguer, Walter Veltroni, Antonio Gramsci e persino Karl Marx.

arance e martello immagine 3

Bianchi, in un delirio di onnipotenza, tenta la carta del one man show ed anche questo voler riservarsi il ruolo del protagonista, interpretando se stesso per di più, proprio non convince, dal momento che non possiede un’adeguata personalità né la giusta verve comica per poter reggere un lungometraggio. Insomma, Bianchi sbaglia decisamente la mira e genera un teatrino dell’assurdo sterile ed anche un po’ fastidioso. Non è in modo così facile e scontato che il cinema dovrebbe parlare di politica, perché se i risultati sono questi rimane decisamente più astuto e pungente il Qualunquemente con Albanesi.

Arance e martello è stato presentato nella sezione Giornate degli autori della 71° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ed è stato distribuito il 5 settembre nelle sale cinematografiche da Fandango.

Giuliano Giacomelli

                Pro                 Contro
  • Il mercato rionale di San Giovanni è una bella location per fungere da perno della narrazione di un film che cerca di unire la tradizione del neorealismo con i moderni linguaggi “sporchi” tipici dei prodotti web.
  • Dario Bianchi sceglie il modo più sbagliato per fare un film che parli di politica.
  • Le strizzate d’occhio alla politica di oggi sono troppo evidenti e facili. Continue. Irritanti.
  • Dialoghi improponibili ed eccessivamente prolissi e falsi.
  • Diego Bianchi non ha la stoffa per poter reggere un film come attore protagonista.
VN:R_U [1.9.22_1171]
Valutazione: 4.0/10 (su un totale di 1 voto)
VN:F [1.9.22_1171]
Valutazione: +1 (da 3 voti)
Venezia 71. Arance e Martello, la recensione, 2.5 out of 10 based on 2 ratings

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.