Venezia 73: The Bad Batch
In un mondo distopico, Samantha (Suki Waterhouse) è una giovane scartata dalla società regolare e scaricata oltre confine dove non esistono più leggi. Qui viene catturata e mutilata da una comunità di cannibali intenzionati a farne il loro pasto. Riuscirà a scappare, ma trovare il proprio posto in questo nuovo mondo non è così facile. L’incontro con Joe (Jason Mamoa), sarà rivelatorio.
The Bad Batch, si apre con una scena che vede la giovane protagonista superare in mezzo al deserto un cartello che recita “questo è il confine, tutto quello che accade al di fuori non viene controllato e regolamentato dalle leggi degli Stati Uniti d’America”. Quella raccontata infatti è una vicenda ambientata in una realtà sospesa, una dimensione che potenzialmente potremmo ritrovare ovunque, popolata da coloro che sono stati marchiarti, letteralmente, come gli scarti della società, il “bad batch” (lotto difettoso). Persone prive di moralità e di radici, che vagano alla ricerca di uno scopo, cercando di sopravvivere ognuno a modo suo.
È così che si formano agglomerati umani come quello di Comfort, con a capo l’“illuminato” Rockwall (Keanu Reeves) che circondato da “mogli”, che ha ingravidato con lo scopo di ripopolare il territorio, tiene in pugno la “città” con la promessa di un futuro migliore (e della droga).
Il film è un lungo e delirante trip, che a tratti sembra avere senso e a tratti no. Una storia più di azioni e sguardi che di parole, per una sceneggiatura caratterizzata da pochissimi dialoghi, e anche poco incisivi.
Il grosso in termini di comunicazione va lasciato alla gestualità, scelta che vede brillare (prevedibilmente) Jim Carrey nell’insolito ruolo di un eremita “barbone”, che tiene d’occhio i nostri protagonisti intervenendo al momento giusto, come un angelo custode.
Una storia dai contorni sfocati che racconta personaggi anche troppo a fuoco, prepotentemente definiti e peculiari sia nel carattere che nell’aspetto, al punto da richiamare un po’ i protagonisti dei film di Rodriguez o Tarantino.
Il paesaggio desertico e sconfinato si presta ad accogliere questa brulicante umanità senza freni, che come i cactus è in grado di sopravvivere con il minimo indispensabile, con qualsiasi mezzo, mossa da necessità non troppo diverse da coloro che stanno oltre il confine.
La storia di Samantha è la storia di una ragazza qualsiasi che si innamora e decide di perseguire il suo sogno… per quanto particolare e discutibile esso possa essere.
The Bad Batch sembra un film difficile da spiegare e interpretare, ma forse in realtà non c’è davvero nulla di più da capire di quello che ci appare ad un primo sguardo.
Il consiglio è di dargli una possibilità.
Susanna Norbiato
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