Illusioni perdute, la recensione

L’adattamento del classico della letteratura scritto da Honoré de Balzac racconta la storia di un poeta di campagna, innamorato della letteratura e animato da alti ideali, che si scontra con la realtà parigina e borghese dell’epoca, uscendone profondamente cambiato e disilluso.

Al centro di Illusions Perdues – Illusioni perdute si trova infatti l’ascesa e la caduta di Lucien (Benjamin Voisin), de Rubembrè da parte di madre e Chardon da parte di padre, a metà tra popolo e nobiltà, con questi ultimi che non lo riconoscono come tale date le origini popolane del padre. Nella Francia della restaurazione e del ritorno alla normalità dopo l’esperienza della Rivoluzione Francese, il giovane poeta di campagna viene supportato da Louise, nobile mecenate del luogo, che lo mette sotto la sua ala protettiva, per poi intraprendere una relazione con lui.

Una volta scoperti, la donna si trasferisce a Parigi e Lucien la accompagna. Qui conoscerà la realtà di un mondo molto lontano dal suo, con cui si scontrerà. Le sue nobili intenzioni letterarie conosceranno l’ipocrisia e le convenzioni sociali dei nobili da un lato, e la banalità, volgarità e superficialità del nuovo mondo borghese dall’altro, in cui al posto dell’alta letteratura vige un nuovo linguaggio pubblico: quello della pubblicità e dell’intrattenimento, in cui un giornalismo litigioso e corrotto dà a Lucien la possibilità di mettersi all’opera.

Scaricato (a malincuore) da Louise, Lucien conosce infatti il direttore del Corsaire, Lousteau (Vincent Lacoste), che gli offre un posto al giornale. Qui Lucien si farà strada abbandonando via via i suoi ideali di onestà e altezza letteraria, per concentrarsi in volgari accuse spesso inventate e scritte su commissione. Dall’altro lato di Lousteau, liberale (o meglio, che scrive per un giornale liberale), c’è invece Raoul Nathan (Xavier Dolan), poeta e scrittore in ascesa tra le monarchiche corti parigine, che partecipa al gioco come Lucien ma che sembra più preparato del secondo ad affrontare la realtà senza venirne totalmente travolto. I due diventano nemici pubblici e amici nel privato, perché per diventare qualcuno nella Parigi ottocentesca è necessario un nemico importante. Non importa se si parli bene o male di qualcuno, l’importante è che se ne parli.

L’opera si concentra infatti sul funzionamento del neonato giornalismo, dell’editoria e della formazione dell’opinione pubblica ottocentesca. Se infatti la Restaurazione ha visto il ritorno della nobiltà al centro della società, l’esperienza rivoluzionaria ha lasciato l’impronta della libertà di opinione come uno dei più grandi lasciti, con la formazione di numerosi giornali, tra cui alcuni che criticavano ferocemente o ridicolizzavano chiunque a seconda della convenienza, anche i nobili. Ma il giornalismo era anche un acerbo circolo di scrittori corrotti che scrivono recensioni di libri mai letti e che sostituiscono le proprie opinioni a quelle del committente.

Il film è un buon adattamento, che riesce a trasmettere il senso della storia di ascesa e caduta di Lucien, il suo sogno di essere nobile e di diventare un poeta riconosciuto, i suoi amori, le sue vittorie e le sue delusioni. Essendo il materiale di partenza un capolavoro della letteratura, il film nella sua interpretazione fedele del romanzo riesce quindi a raccontare in maniera coerente e di impatto la storia di Lucien e a ritrarre la società francese dell’epoca.

Dall’altro lato però il film non ha una identità narrativa o estetica molto forte, riprendendo spesso le parole dell’opera originale di Balzac con un narratore fuori campo quasi onnipresente, che magari poteva lasciare più spazio alle immagini. Inoltre, la durata di 141 minuti lo rende una visione decisamente non leggera.

Se però non si ha letto l’opera originale, il film riesce decisamente nel suo intento di mettere in scena un classico della letteratura, così attento nella sua descrizione sociale e così piena di contenuti, che una visione ne vale sicuramente la pena.

Mario Monopoli

PRO CONTRO
  • Adattamento fedele di un grande classico della letteratura francese.

 

  • Adattamento forse anche troppo fedele che non riesce a essere qualcosa in più di un adattamento.
  • Forse con qualche minuto in meno poteva risultare meno pesante.
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