Venezia79. Blonde, la recensione. Un lungo incubo a occhi aperti
“Non sono una star, sono solo una bionda“
“Ma sei davvero bionda?“
“No“
Inondata dai riflettori, Ana de Armas interpreta Norma Jean/Marilyn Monroe nel nuovo film di Andrew Dominik (L’assassinio di Jessie James per mano del codardo Robert Ford, Killing Them Softly), tratto dal romanzo dall’omonimo nome scritto da Joyce Carol Oates, bestseller nel 2000, che racconta la storia di Marilyn mischiando realtà e finzione.
Il film più che essere un biopic è infatti un incubo di 165 minuti, un flusso di sogni, ricordi, pensieri, che sembrano provenire dalla mente della stessa Marilyn. Il montaggio e la struttura narrativa del film rendono l’opera un continuo flusso di eventi, in cui sogni e realtà si confondono e l’azione sembra non fermarsi mai, trascinandoti nella vorticosa e tragica vita della diva statunitense e della donna dietro di lei.
Nascosta dietro un cerchio di luce dove potersi rifugiare, Norma Jean crea un proprio alter ego, un personaggio da interpretare creato con la propria mente: Marilyn Monroe. Il padre l’ha abbandonata, la madre è in manicomio, può ripartire da zero e scegliere di essere qualsiasi cosa, anche scegliendo un nome palesemente finto come quello di Marilyn. la divisione tra i due personaggi oltre che dalla narrazione viene identificata anche dal continuo cambio di formato e dalla fotografia che alterna momenti a colori e in bianco e nero.
Ma se all’inizio del film i due personaggi sembrano dividersi tra vita privata e lavoro di attrice e modella in modo quasi equo, pian piano Marilyn irrompe sempre di più nella vita di Norma, sommergendo la realtà con la finzione e ritrovandosi a interpretare un personaggio 24 ore su 24, non solo sul set ma anche nella propria vita privata.
Il film ripercorre alcuni momenti fondamentali della vita di Norma Jean/Marilyn Monroe, dall’infanzia con la madre e gli inizi come attrice, al successo, alla relazione con Charlie Chaplin jr. (Xavier Samuel) fino al matrimonio con l’ex campione di baseball Joe Di Maggio (Bobby Cannavale), e quello con lo sceneggiatore teatrale Arthur Miller (Adrien Brody) e anche la relazione con il presidente Kennedy (Caspar Phillipson), in alcune scene che faranno molto discutere.
Blonde è un film che tratta la vita di Marilyn alla luce della società patriarcale e sessista dell’epoca, ma che come mostrato dal movimento #MeToo non è neanche troppo lontana, dato che alcune esperienze sembrano collegarsi direttamente allo scandalo con protagonista Harvey Weinstein. Marilyn, bellissima, è in realtà oltre questo una donna acculturata e intelligente, troppo buona per ribellarsi. Quando cita Dostoevskij e Cechov viene ridicolizzata da uomini che pensano stia replicando il pensiero di altri, come se non fosse capace di pensare con la propria testa o stesse mentendo, strozzata dal maschilismo onnipresente.
Il male gaze, tema al centro di numerosi studi di genere nel cinema, viene nel film estremizzato tanto da rendere i volti degli uomini che guardano Marilyn a momenti grotteschi, sfigurati, ricordando le masse che assistono alla danza di Babilonia, la grande prostituta, nel film Metropolis di Fritz Lang. La risposta alla sua recitazione profonda e sentita è uno sguardo oggettificante che la trasforma in carne, in una bambola. Un oggetto da esibire, da possedere, da costruire. Travolta da infiniti applausi, infiniti Red Carpet, quello subito da Marilyn è un infinito furto d’identità, in cui viene costretta a interpretare un personaggio di finzione.
Blonde riesce a ottenere una impressionante e fluida unità narrativa attraverso una continua segmentazione e disgregazione formale, tanto che il montaggio alterna scene in bianco e nero e a colori, formati quadrati e ampie panoramiche, montaggi serrati (in un momento particolarmente bello anche alternando scene di repertorio a scene rifatte con grande maestria, tanto che sarà difficile riguardare allo stesso modo film come A Qualcuno Piace Caldo), a piani sequenza e movimenti di macchina a spalla improvvisi. Blonde è un film sperimentale e fresco, che riesce sempre a sorprendere lo spettatore nonostante stia raccontando una storia che tutti già conosciamo, utilizzando trovate innovative e spesso ben riuscite esteticamente ma che non rendono mai pesante il film, tanto che le 2 ore e 45 minuti di durata si sentono a malapena.
Fondamentale nel riuscire a dare unità alla narrazione è la colonna sonora di Nick Cave e Warren Ellis, già collaboratori con il regista Andrew Dominik in L’assassinio di Jessie James per mano del codardo Robert Ford e nei due documentari dedicati proprio a Nick Cave (One more Time With Feeling e This Much I Know to be True). Delicata, onirica, a momenti inquietante, la colonna sonora è sempre presente ad accompagnare Marilyn nel suo percorso distruttivo causato dal mondo che la circonda.
L’interpretazione di Ana de Armas, protagonista assoluta dell’opera, rende decisamente giustizia al personaggio, riuscendo nel ricreare oltre che esteticamente anche le movenze e la voce della vera Marilyn, candidandosi potenzialmente alla nuova stagione di premi a Venezia e non solo come miglior interprete femminile.
Blonde è anche un film fortemente provocatorio e che oltre alle forti scelte di regia ha anche forti scelte nella rappresentazione di alcuni eventi e personaggi. Le scene sul rapporto con il presidente John Fitzgerald Kennedy, il modo in cui è trattato il tema dell’aborto, la violenza sessuale e psicologica ai danni di Marylin, alcune scene di Blonde possono mettere fortemente a disagio, un disagio che è voluto e che ha come fine quello di mostrare in modo crudo temi che riguardano anche i giorni nostri.
Blonde sarà sicuramente un film divisivo, per la forma schizofrenica in cui è narrata la storia di Marilyn, per la rappresentazione poco lusinghiera di alcuni personaggi reali, per il miscuglio tra realtà e finzione che viene già dall’opera originale da cui è ispirata, per alcune scelte sicuramente coraggiose e interessanti, che rendono Blonde il film forse non migliore ma sicuramente il più interessante e innovativo tra i presenti alla 79esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Un film che travolge lo spettatore come un lungo incubo a occhi aperti.
Mario Monopoli
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