Venezia79. L’immensità, recensione del film con Penelope Cruz
Tanti applausi dalla critica per L’immensità, l’ultimo film di Emanuele Crialese, già autore degli apprezzati Nuovo Mondo e Respiro, proiettato in Sala Darsena alla Biennale di Cinema.
Un film che si basa molto sull’interpretazione della Coppa Volpi 2021 Penelope Cruz, e il suo rapporto con la figlia di undici anni (molto brava la giovane attrice Luana Giuliani), all’interno di un contesto familiare romano, dove però la città è quasi distopica.
Possiamo definirla “distopica” perché Crialese ha deciso di puntare molto sulla costruzione sociale dei rapporti tra i membri della famiglia (due bambine, un bambino, più un padre che si desumere essere un professionista dalla carriera avviata). All’interno della famiglia ci sono rapporti di dipendenza (come quello madre-figlia), ci sono rapporti di sottomissione (quello marito-moglie, e indovinate chi è la sottomessa?), e infine ci sono rapporti di contrasto (tra fratelli). Per questi rapporti ben definiti, chiari e trasmessi con intenzioni ben precise, la struttura de L’immensità regge molto bene, e così la sua visione.
Protagoniste principali sono appunto madre e figlia.
La madre subisce le violenze del marito (fisiche e verbali), ma mantiene una dolcezza e una spensieratezza straordinarie che la rendono molto benvoluta dallo spettatore e dalla figlia maggiore, ma dall’altro tendono a emarginarla e a renderla infelice proprio perché la sua è un’età adulta.
La figlia vede e soffre per tutto quello che subisce la genitrice e difatti, quando non ne può più, evade di casa e scappa nel vicino nascondiglio. Qui vivono un gruppo di zingari. Si innamora di una bambina che le si approccia inizialmente con diffidenza, poi invece sembra contraccambiare il sentimento. Dal momento che la figlia maggiore è molto mascolina non capiamo se effettivamente la ragazzina zingara ne sia a conoscenza.
A completare la famiglia, un bambino di otto anni che ti immagini già con dieci anni di più, pesare ottanta chili e bullizzare i compagni di classe.
La bambina più piccola di circa quattro anni è invece la classica bambina che non prende posizione ma dice sempre sì e sorride di un sorriso perfetto.
Molto bravo anche in questo frangente Crialese, che attribuisce a ogni personaggio una funzione all’interno della storia, per costruirla e svilupparla coerentemente secondo una struttura di tre atti.
I toni cupi della luce che colpisce la casa all’ottavo piano del palazzo di periferia aiutano all’introspezione e contribuiscono a marcare il torbido nulla di cui si compone la cornice del film.
Lo sviluppo della trama è coerente con le premesse e l’evoluzione di questo rapporto madre-figlia, con la prima che sembra essere madre volenterosa ma senza motivazione e la seconda invece in forte dipendenza dalla prima, porta a esplorare alcuni fondamentali caratteri del legame.
Una nota stonata de L’immensità è il suo finale, tipicamente da film mainstream, che non riesce a rendere giustizia all’opera nel suo complesso, altrimenti molto riuscita.
Roberto Zagarese
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