White God – Sinfonia per Hagen, la recensione

Dopo alcuni ritardi di distribuzione, finalmente giunge nelle sale italiane l’ungherese White God – Sinfonia per Hagen, vincitore dell’ambita sezione Un certain regard a Cannes 2014. Il regista Kornel Mundruczo, già conosciuto, e semi-odiato dalla critica, per Johanna e il discusso Tender Son: The Frankestein project, si cimenta in una pellicola di (auto)denuncia dal sapore moraleggiante, accogliendo al suo interno una commistione di generi ben amalgamati tra loro.

Gli spunti da cui partire e le strade che si possono percorrere sono, pertanto, molteplici. La preadolescente Lili (una giovanissima Zsófia Psotta qui al suo primo film) si ritrova ai ferri corti con il padre Daniel (Sandor Zsoter) quando questo si rifiuta di pagare la tassa imposta su Hagen, il cane meticcio della figlia nonché suo miglior amico. Da qui le strade dei due si dividono, portando il povero animale a vivere delle esperienze atroci che culmineranno in una vera e propria rivolta canina per le strade di Budapest.

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Dal momento del distacco tra Lili e Hagen, il film si fa carico di veicolare un messaggio potente, quanto a rischio di patetismi e morali spicciole: il sentimento di rivalsa dei più deboli. O se vogliamo, l’eterna lotta di classe che ha sempre visto primeggiare quel “Dio bianco” reo di soprusi e malefatte, a discapito delle minoranze. Il punto di vista di Mundruczo è freddo ma lucidissimo quando si tratta di utilizzare la macchina da presa che non stacca mai da Hagen, seguendolo passo passo in un viaggio infernale che gli farà vivere sulla propria pelle le atrocità di cui è capace l’essere umano. I ritmi tesi e concitati di una fiaba nera che si snoda attraverso l’abbandono, per poi passare a una violenza evocativa più che visiva, fino al culmine che raggiunge le derive horror, riescono ad essere dosate nel modo giusto. Le contaminazioni di genere sono  bilanciate e risultano coerenti, soprattutto nella seconda parte, quando il realismo lascerà spazio ad un simbolismo sempre più pregnante. La notte in cui gli animali si ribelleranno alla crudeltà umana, il rovesciamento dell’ordine verrà ristabilito grazie a uno dei linguaggi più universali e sinceri che esistano, ovvero la musica.

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Ma è difficile muoversi sullo stesso piano quando si prendono in considerazione le tematiche affrontate. Oltre a Hagen, parallelamente si dipana anche la vicenda personale di Lili, ragazzina cocciuta che non va d’accordo con il padre, e che vuole a tutti i costi ritrovare il suo cane. Sullo sfondo di una Budapest ostile e grigia, le vicende personali degli ‘umani’ risultano in alcuni momenti eccessivamente dilatate, quasi irrilevanti per una storia che sembrerebbe essere di formazione. Inoltre, il compito morale che il film tenta di svolgere per tutta la sua durata, alle volte è votato all’utilizzo di espedienti che culminano in trovate non sempre vincenti, e alquanto facili. A cominciare dalla scelta di affidare a dei cani il ruolo di esclusi e reietti, e il tono animalista che permea la pellicola nella sua interezza.

White God – Sinfonia per Hagen è nelle nostre sale da giovedì 9 aprile, distribuito da Bolero Film.

Noemi Macellari 

PRO CONTRO
  • Buon ritmo per quasi l’intera durata del film.
  • Commistione di generi cinematografici ben dosata.

 

  • La parte che riguarda le vicende ‘umane’, alle volte risulta dilatata.
  • Qualche ruffianata e buonismo di troppo.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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