Decision to Leave, la recensione

A quasi sette anni dal thriller erotico di ambientazione storica Mademoiselle, Park Chan-wook torna alla regia di un noir che non mancherà di dividere l’opinione degli spettatori amanti della filmografia di uno dei più talentuosi autori del cinema sudcoreano contemporaneo. Decision to Leave si è aggiudicato il premio alla regia al 75° Festival di Cannes, è stato il maggior incasso cinematografico in Corea del Sud nel 2022 e ora, dopo essere stato escluso a sorpresa dalla cinquina finale degli Oscar 2023 nella categoria Film Internazionale, si appresta ad arrivare nelle sale italiane dal 2 febbraio distribuito da Lucky Red.

Al detective della polizia di Busan Hae-joon viene affidato un caso piuttosto bizzarro: un funzionario dell’immigrazione viene trovato morto ai piedi di un monte, sfracellato a terra con indosso le attrezzature di climbing. Tutti gli indizi fanno pensare a un suicidio invece che un incidente, anche se Hae-joon sospetta che si tratti di un omicidio e la sua maggiore indiziata è Seo-rae, giovane moglie della vittima, nonché immigrata cinese. Mentre le indagini procedono, Hae-joon inizia a provare una forte attrazione per Seo-rae che appare molto collaborativa nelle indagini. La donna sarà davvero un’assassina?

È un’opera davvero bizzarra Decision to Leave, sia all’interno della filmografia dello stesso Park Chan-wook sia nel genere a cui appartiene.

Lontanissimo dallo stile soavemente pulp a cui ci ha abituato il regista di Old Boy, ma allo stresso tempo anni luce dall’eleganza quasi elegiaca di Mademoiselle, Decision to Leave trova come più vicini parenti i sottovalutatissimi Thirst e Stoker pur distanziandosene per forma e contenuto. Park Chan-wook vuole evidentemente entrare nel genere noir/thriller dalla porta di servizio adagiandosi su un immaginario fortemente sedimentato nello spettatore, come è quello della detective story, senza citare o richiamare in alcun modo i classici del genere.

C’è il poliziotto tormentato però non si tratta di un bello e dannato con una mano alla pistola e l’altra alla bottiglia di whiskey, ma un uomo medio che ha problemi di insonnia e una relazione coniugale palesemente ingolfata nella routine e nel disamoramento. Poi c’è la femme fatale, ma non è la bomba sexy tutta sguardi ammalianti e labbra velenose, piuttosto è una donna media, taciturna, spesso in difficoltà nella comunicazione e con talmente tanti silenzi da catalizzare immediatamente tutti i sospetti. Eppure, sia il detective che la femme fatale di Park Chan-wook hanno un percorso simile a quelli di tanta narrativa noir svelando un complesso e arguto gioco di decostruzione e riassemblaggio del genere.

Allo stesso tempo, Decision to Leave ha un che di hitchcockiano tanto nei personaggi quanto nell’assetto narrativo, quindi una volontà di stravolgere alcuni topoi pur rispettandoli perfettamente; in altri frangenti, il regista della “trilogia della vendetta” sembra volersi confrontare con il thriller americano degli anni ’90, quello che tiene un piede nell’assetto classico di certa letteratura e l’altro nella sperimentazione postmoderna. Per questo c’è una forte personalità registica nella costruzione per immagini della storia, con scelte molto audaci che portano i personaggi a viaggiare fisicamente nei ricordi, ma c’è anche un richiamo agli opposti che si cercano e si completano, come la notte e il giorno, il passato e il presente, la montagna e il mare.

C’è un lavoro enorme dietro Decision to Leave che lascia trasparire ancora una volta il talento di Park Chan-wook nel fare fortemente sue le storie che racconta e di possedere una padronanza del mezzo filmico stupefacente. Però, dietro una forma incredibile, Decision to Leave lascia intravedere anche un affanno nella gestione del contenuto narrativo.

Quello di Park Chan-wook è un film denso di elementi fuorvianti, di sottotrame, di momenti narrativamente slegati dal corpo della storia e tutto questo non fa bene a un film di questo genere che comunque chiede allo spettatore di seguire un’indagine poliziesca con progressivo disvelamento di colpevole e movente. Si arriva ad un certo punto della storia in cui abbiamo una tale sovrabbondanza di informazioni che è impossibile rimanere lucidi e inevitabilmente ci si perde dietro a dettagli che poi si rivelano insignificanti smarrendo il focus della storia. E poi ci sono personaggi poco centrati che scompaiono da un momento all’altro, come il collega di Hae-joon a Busan, forse uno dei personaggi peggio scritti di tutta la filmografia dell’autore, ma anche intere sequenze che sembrano importanti ma effettivamente non lo sono dando la sensazione di aver perso tempo allungando inutilmente il brodo, come accade con la pista iniziale che porta a un lungo inseguimento metropolitano.

Arrivati al bellissimo epilogo di Decision to Leave si rimane con tanti, troppi dubbi, tanto sulla stessa storia che si è appena vista quanto sulla reale riuscita del film. Perché quello di Park Chan-wook è chiaramente un film imperfetto, sarebbe disonesto non riconoscerlo, ma è anche l’ennesima dimostrazione del talento di un autore che sta chiaramente cercando di non ripetersi e di evolversi, nel bene e nel male.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
Un’eleganza nella regia e nella messa in scena stupefacente. Narrativamente troppo pasticciato.
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Valutazione: 6.5/10 (su un totale di 2 voti)
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Decision to Leave, la recensione, 6.5 out of 10 based on 2 ratings

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