Five Nights at Freddy’s, la recensione

Se siete appassionati di cinema horror, è molto probabile che negli ultimi anni vi siete imbattuti in due film che hanno in comune una specifica tipologia di bizzarri villains: pupazzi animatronici con fattezze di animali antropomorfi che impazziscono e diventano implacabili macchine assassine. I due film in questione sono The Banana Splits Movie (2019) e Willy’s Wonderland (2021), il primo ispirato a uno show per bambini degli anni ’60, il secondo un b-movie con un fenomenale Nicolas Cage muto. Come se ci fosse un trend curiosamente incoraggiato da nessun effettivo successo commerciale, ora si aggiunge al duo anche Five Nights at Freddy’s, che ha alle spalle un popolare videogame horror al quale si ispirava non ufficialmente anche il suddetto film con Cage.  

Dopo la morte dei genitori, Mike deve barcamenarsi con lavori di fortuna per mantenere l’affido della sorellina Abby, contesa per motivi economici dalla perfida zia. Per questo motivo, il ragazzo accetta di fare il guardiano notturno in un locale ormai in disuso, il Freddy Fazbear, una pizzeria per famiglie che aveva come attrazione principale per i bambini dei pupazzi animatronici. Mike, però, ha anche un terrificante trauma che non riesce a superare: quando era bambino, ha assistito al rapimento del fratellino senza riuscire però a identificare il rapitore. Il fratellino non è mai stato ritrovato e la scena del rapimento torna frequentemente in sogno a Mike, come se qualcuno gli stesse suggerendo degli indizi che lui non riesce a cogliere. Nel momento in cui Mike mette piede nel Freddy Fazbear, la sua attività onirica si fa sempre più insistente e dettagliata, come se quel luogo catalizzasse i suoi sogni; inoltre, durante la notte, gli animatronic presenti nel locale hanno la “brutta abitudine” di prendere vita.

Sono rari gli adattamenti cinematografici davvero riusciti di videogames, come se il passaggio da questo specifico medium comportasse delle criticità maggiori, e quello che ha fatto Blumhouse con Five Nights at Freddy’s non può che confermare questa annosa difficoltà. Il videogame creato da Scott Cawthon nel 2014 e arrivato già a un considerevole numero di capitoli e spin-off, nonostante l’originaria natura punta e clicca, ha un soggetto molto cinematografico che viene effettivamente rispettato e ampliato per il passaggio sul grande schermo. Il problema è che nel film diretto da Emma Tammi (l’horror del 2018 The Wind più un paio di episodi della serie horror antologica Into the Dark) e scritto dalla stessa insieme al creatore del gioco e a Seth Cuddeback non funziona come horror e non funziona come intrattenimento in senso lato.

Cronache produttive ci raccontano di una genesi pre-produttiva un po’ complessa che ha portato a più riscritture della sceneggiatura e questo si nota in maniera palese nel risultato finale che, in primis, pecca in una scrittura farraginosa che non riesce a gestire i troppi elementi scelti per riempire la storia.

Abbiamo un locale infestato e degli animatronic killer, elementi sicuramente sufficienti da sviscerare per una storia horror, a maggior ragione se gli animatronic hanno già un look molto iconico e inquietante sdoganato dal brand videoludico. Invece lo script punta in maniera eccessiva sul trauma del protagonista deviando inutilmente l’attenzione sull’aspetto soprannatural-psicologico che non appartiene a questo franchise! Inoltre, insistendo così tanto sull’elemento dei sogni e suggerendo anche dei fantomatici poteri di premonizione della piccola Abby, ci si avventura in un territorio spinoso difficile da gestire in questo contesto, con il risultato di effettivi buchi di sceneggiatura che si riflettono anche sulla gestione cronologica/temporale degli eventi e su personaggi che sembrano importanti ma poi vengono completamente abbandonati (la zia interpretata da Mary Stuart Masterson).

Anche l’esigenza di dare alla storia un risvolto giallo/thriller (come da easter egg del primo videogame) porta il film a incartarsi inutilmente in un epilogo che sembra non seguire più alcuna logica. Insomma, il film di Five Nights at Freddy’s è un gran pasticcio!

Ma almeno ci si diverte?

Purtroppo no. 110 minuti sono tantissimi e questa scelta scriteriata di dar spazio all’aspetto psicologico appesantisce di molto il ritmo. I pupazzi assassini sono realizzati in maniera magnifica, ma fanno davvero poco, soprattutto non risultano mai minacciosi e la scelta di rendere Five Nights at Freddy’s un PG-13, quindi un horror davvero molto light, non aiuta affatto perché trovarsi tutti gli omicidi fuori campo e la completa assenza di scene gore sembra solo limitante per le potenzialità di questo franchise.

Nel ruolo del protagonista troviamo il sempre poco carismatico Josh Hutcherson di Hunger Games, ormai avviato sulla strada di una lenta trasformazione fisica in Frank Matano, affiancato da Elizabeth Lail della serie You, mentre in un piccolo ruolo ritroviamo Matthew Lillard, noto per il ruolo di Stu Macher in Scream e Shaggy nei live action di Sccoby-doo.

Insomma, se negli ultimi mesi abbiamo assistito a un’occasione clamorosamente sprecata, quell’occasione è il film di Five Nights at Freddy’s, inspiegabilmente trasformato in un family-horror con vocazione psicologica dai ritmi colpevolmente dilatati e troppe incongruenze narrative.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Il look dei pupazzi.
  • L’atmosfera all’interno del Freddy Fazbear, molto fedele a quella dei videogiochi.
  • Scritto davvero male, con incongruenze e buchi di sceneggiatura.
  • L’elemento onirico/psicologico è ripetitivo e mal gestito.
  • Quasi due ore sono troppe e, di conseguenza, il film annoia.
  • Non c’è gore e per un quasi slasher soprannaturale è un grande colpa.
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