Godzilla – Punto di singolarità: sembra un kaiju ma non lo è!

La creatività nipponica non smette mai di sorprendere se nel 2021 è riuscita a dare alla luce l’ennesimo adattamento dell’ormai “mito” di Godzilla, (Gojira), iniziato nel lontano 1954 con il film omonimo di Ishiro Honda; le case produttrici Orange e Bones hanno accolto questa pesante eredità fatta di lungometraggi hollywoodiani, cross-over, anime, etc. affidando la regia ad Atsushi Takanashi (Doraemon il film – Nobita e la grande avventura in Antartide), la sceneggiatura a Toh Enjoe  e il character design a Satoshi Ishino (Excel Saga, Bleach – Memories of Nobody).

Il risultato è lo spumeggiante anime dalla cornice kaiju (il genere cinematografico coi “mostroni”) e l’animo millenial che Netflix ha pubblicato lo scorso 24 giugno: Godzilla – Punto di singolarità.

Nel Giappone del 2030 l’atarattico ingegnere Yun Arikawa della bislacca agenzia di riparazione elettronica Otaki Factory viene ingaggiato per fare delle ricerche su delle misteriose onde radio che trasmettono un’antica canzone indiana in una remota area del Kanto; a poca distanza da lui, una misteriosa azienda contatta Mei Kamino, assistente universitaria specializzata in creature mitologiche, per lo stesso motivo.  Le indagini di entrambi si incrociano grazie a un’intelligenza artificiale, molto simile ad Alexa e creata dallo stesso Arikawa, che nel corso della storia diventerà un personaggio a tutti gli effetti; ancor prima di riuscire a giungere a una spiegazione compaiono nel cielo degli pterosauri rossi, poi denominati Rodan, che sconvolgono l’esistenza dell’intero pianeta.

Inizia così la sottotrama “mecha” (il genere di animazione coi “robottoni”) che ha come protagonisti assoluti i membri della Otaki Factory: Yun e il suo amico Goro cercano di raccogliere più informazioni possibili sulle varie creature che piano piano escono allo scoperto, in modo da migliorare il loro Jet Jaguar – che altri non è che il bisnipote scemo di Mazinga – e salvare l’umanità. Nel mentre Mei viaggia per il mondo e approfondisce le teorie riguardanti alcuni elementi chimici rarissimi nell’universo, denominati “archetipi”, le cui particelle sembrano poter passare attraverso lo spazio-tempo e di cui sono cosparsi i mostri che ormai devastano il pianeta; così la sotto-trama più genuinamente fantascientifica si infittisce sempre più e accompagna lo spettatore in un’escalation di colpi di scena, non privi di cliché (scienziato pazzo, laboratori segreti, laghi di lava sotterranei, antiche leggende, meduse – sempre loro),  che portano alla ricerca del “punto di singolarità”, unica arma per sconfiggere l’ultimo grande mostro comparso, il mitologico Gojira.

La sopracitata lunghissima tradizione dei mecha è “rinfrescata” da questo prodotto “sbarazzino” in cui l’aspetto visivo ha un ruolo preponderante nel dare quel tocco di apparente originalità che serve a solleticare l’attenzione delle nuove generazioni. In un’epoca in cui tramite le piattaforme on demand si può saltare da una serie tv anni’80 all’ultima attesissima uscita anime, è difficile nascondere tutte le citazioni o gli omaggi che alcuni generi devono fare, perciò le nuove produzioni si devono ingegnare dosando le giuste quantità di fantasia e sperimentazione tecnica.

Godzilla – Punto di singolarità ha messo da parte, o quasi, i toni horror o solenni tipici dei disaster movie o del genere mecha, puntando su protagonisti goffi, più adatti a “sdrammatizzare” la tragicità di alcune scene; fondamentale è quindi il design tondeggiante e la colorazione luminosa contro il rosso “fiammeggiante” della polvere che viene esalata dai dinosauri. Questi ultimi sono stati realizzati con una computer grafica che, per l’ennesima volta, pecca della già mille volte citata “pixellosità”, ovvero di una corporeità che dovrebbe essere più realistica e “spaventosa” ma che in realtà produce solo un effetto “legnoso” piacevole solo per i gamer più sfegatati – lo spettatore medio pensa che il graphic designer sia stato “cresciuto a soprusi e pagato coi vaucher” come direbbe Il Trono del Muori.

Rimanendo in tema di cliché occorre parlare dei due protagonisti principali e del fatto che, nel 2021, sarebbero potuti essere caratterizzati in maniera un po’ diversa: Yun è la quintessenza del geek nipponico che con la sua ponderata arguzia e il suo gioco di squadra escogita la soluzione vincente; niente da contestare su queste caratteristiche che possono dirsi “culturali” ma il fatto che uno non si scomponga manco quando salva bambini dalle fauci di pterosauri famelici potrebbe sembrare un po’ troppo irrealistico, per non parlare di quando becca “per caso” sottospecie di stegosauri imbruttiti in una radura solitaria; la sua controparte femminile è invece rappresentata da Mei che, per essere un prodigio della chimica inorganica, balbetta e fa le “faccette” di una liceale nerd; se poi vogliamo discutere del fatto che i due protagonisti comunicano sul destino del mondo tramite chat e usano le emoticon più infantili della circolazione siamo apposto.

L’elemento straniante è proprio il fatto che la sotto-trama comica sia affidata ad elementi creati dagli uomini, spesso con derive demenziali e inappropriate, più che ai vari personaggi, a parte quelli vecchi, che finiscono per sembrare loro stessi “fatti con lo stampino”.

Il progresso tecnologico è il vero fulcro narrativo della storia: tutto è cominciato perché la “solita” sete di sapere dell’uomo ha generato mostri, letteralmente, e poi la stessa sete di conoscenza in mano alle persone giuste riesce a trovare una soluzione, ciò è tutto “metaforizzato” nella figura stessa di Godzilla che è creatura primitiva e risultato della chimica più avanzata allo stesso tempo, tutta la storia è protesa verso lo scontro finale che lo vede combattere contro un robot, immagine dell’ingegnosità umana davanti alla Natura.

Dopo vari reboot americani insipidi, Godzilla è stato “resuscitato” dalla propria patria che ha saputo unirlo all’altra grande tradizione dei mecha e dei battle shonen, con una spolverata di toni kawaii e umorismo spicciolo; vista la densità scientifica di alcuni “spiegoni”, il target di riferimento è quello di ragazzi dei quattordici anni in su e, visto il cliffhanger finale, Godzilla – Punto di singolarità si prospetta un prodotto di cui si sentirà parlare ancora in futuro.

Ilaria Condemi de Felice

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