Interstellar, la recensione

Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che nelle fatture, negli ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi ed ho l’intenzione a tutt’altro che alla felicità degli uomini o all’infelicità. Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n’avveggo, se non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei.

(Giacomo Leopardi, Dialogo della Natura e di un Islandese)

Le premesse di Interstellar, concettualmente, sono diffusamente intessute di poetica Leopardiana e ci pongono di fronte al più spaventoso dei quesiti: cosa accadrebbe se la Terra ci voltasse le spalle e il mondo, così come lo conosciamo, andasse inesorabilmente incontro alla fine?
Il Pianeta su cui vive Cooper (Matthew McConaughey), in un futuro non troppo lontano dal nostro presente, è arido, moribondo e dilaniato da continue tempeste di polvere e sabbia. L’umanità è ritornata in massa alla vita nei campi, unica fonte di sostentamento rimasta. Lo stesso Cooper, ex pilota di astronavi e ingegnere, dedica le proprie energie all’attività agricola per garantire la sopravvivenza dei due figli e del suocero. Tuttavia, non ha dimenticato nozioni ed emozioni apprese e vissute negli anni alla NASA, che trasmette con passione alla brillante figlioletta Murph (Mackenzie Foy), con la quale ha un rapporto speciale. Quando padre e figlia, in seguito a una serie di misteriose coincidenze, giungeranno a scoprire fino a che livello la razza umana sia in pericolo, Cooper abbandonerà a malincuore la sua famiglia e partirà per un pericolosissimo viaggio interstellare. L’unica possibilità per salvarsi dall’estinzione, infatti, risiede nella ricerca di un pianeta alternativo sul quale abitare. Grazie alla scoperta di un wormhole, una curvatura nello spazio-tempo, Cooper e gli altri membri del coraggioso l’equipaggio esploreranno galassie sconfinate e, altrimenti, impenetrabili, per salvare l’umanità da un tremendo quanto inevitabile destino.

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La fantascienza sul grande schermo vanta una tradizione monumentale e di ampio respiro; ha esplorato misteri del cosmo e travalicato i limiti dell’umano pensiero attraverso un’infinità di punti di vista. Lo sci-fi di Christopher Nolan difficilmente avrebbe potuto risultare immune a una così vasta e influente fucina di appigli e invenzioni. Gli echi respirabili nelle sconfinate e remote atmosfere galattiche o nelle implicazioni teoriche spaziano da un inevitabile 2001: Odissea nello Spazio, al cinema di Richard Kelly, fino al più recente Gravity; si passa anche, per stemperare la tensione, per sfiziose soluzioni mutuate dall’universo di Guerre Stellari. Sapori di kubrickiana memoria si gustano nelle sequenze relative all’orbita delle navicelle nell’infinito e, quindi, prevalentemente per quanto concerne l’impianto visivo. Della filmografia di Kelly, e di Donnie Darko in particolare, ritroviamo il motore di infinite speculazioni teretico filosofiche: quel wormhole in grado di modificare lo spazio-tempo e dare origine a riflessioni di varia natura su complicati argomenti quali relatività e quinta dimensione. Inoltre, da una parte, le svolte narrative più drammatiche ci riportano al clima teso e tragico del capolavoro diretto da Alfonso Cuarón e vincitore di sette premi Oscar; dall’altra, la presenza nell’equipaggio delle scaltre e minimaliste intelligenze artificiali CASE e TARS strappa più di un sorriso anche in virtù delle analogie, a livello di funzione narrativa, con gli amatissimi R2-D2 e C-3PO.

Il viaggio dello spettatore, che Nolan costruisce attraverso un equilibrato cocktail di scienza e spettacolarità, è imperniato solo in apparenza sulle astruse teorie fisiche e scientifiche finora accennate. Interstellar è, prima di tutto, un atto d’amore e un’apologia della natura umana, della quale vengono indagate con passione e scrupolo tanto le infime bassezze che i meravigliosi slanci. Il regista di Inception, spostando la propria riflessione dai misteri della mente ai segreti ancestrali del cuore, trasforma lo spazio in un luogo dell’anima. Una dimensione, dunque, che si configura come fredda e spietata, ma nella quale un sentimento forte e autentico può trovare espressione con una potenza inimmaginabile. Tale pensiero viene suggerito in maniera particolarmente suggestiva nei segmenti che si sviluppano in totale assenza di effetti sonori. Nolan sembra voler sottolineare che il suono, per quanto assordante, non può propagarsi nello spazio, mentre l’amore può trascendere da qualunque legge fisica e gravitazionale. Sia quello di un padre per sua figlia o di una donna per la sua anima gemella.

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In una cornice inaspettata, Nolan decide di rischiare e puntare tutto sulla dimensione intima della vicenda umana, riuscendo a condurre in maniera intelligente e oculata un’indagine sulle ragioni del cuore. Queste, infatti, sono stratificate e ricche di sfumature almeno quanto le teorie di Kip Thorne, uno dei maggiori esperti di relatività nonché dei produttori esecutivi del film. Il pregio maggiore della pellicola, probabilmente, risiede proprio nella sua capacità di incidere profondamente sull’emotività dello spettatore, attraverso l’intensità di una vicenda malinconicamente avvincente, che nell’abilità di spogliare speculazioni impenetrabili di sibillino accademismo e trasformarle in filosofia dell’emozione, alla portata di chiunque voglia metter da parte le calcolatrici e abbandonarsi all’incanto.

Il cineasta dalle uova d’oro padroneggia la vicenda con linguaggio sicuro e ambizioso, che non fa pesare quasi per nulla i 168 minuti di durata complessiva, scanditi da qualche buon colpo di scena. Certo, con tanta carne al fuoco e i riflettori puntati sulla sfera emozionale, è pressoché impossibile non indulgere, seppure in minima parte, in qualche patetismo; e Interstellar, nella parte finale, effettivamente si concede qualche piagnisteo di troppo e s’infiacchisce. In linea di massima, però, la psicologia dei personaggi è frutto di una scrittura coerente ed è ottimamente portata sullo schermo da un cast di spessore, in cui spicca il trio di premi Oscar Michael Caine, Matthew McConaughey e Anne Hathaway.

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Interstellar ha dalla sua concetti e tematiche che hanno fatto la fortuna del genere sci-fi rielaborati in un contesto inedito e appassionante, nonché la presenza di un sottotesto importante, rivestito da spettacolarità mai gratuita e affidato ad un plot semplice e coinvolgente. Per questo, regalerà un’esperienza spettatoriale conturbante e commovente; impossibile stabilire se tali reazioni saranno da imputare alla straordinarietà dell’impianto visivo o alle intime pieghe che la vicenda andrà a smuovere, tanto le due linee guida sono intimamente connesse. Il film debutta nei cinema italiani il 6 novembre, distribuito da Warner Bros. Pictures.

Chiara Carnà

PRO CONTRO
  • La fantascienza va di pari passo con una vicenda intima e umana vicina a tutti noi.
  • La spettacolarità mozzafiato, mai gratuita.
  • L’impianto concettuale, malgrado la sua complessità, è sviluppato con coerenza e in un linguaggio alla portata di tutti.
  • Qualche patetismo di troppo rende la parte finale un po’ fiacca.
  • La durata, a qualcuno, apparirà proibitiva.
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Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Valutazione: +9 (da 9 voti)
Interstellar, la recensione, 8.0 out of 10 based on 1 rating

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