Kina e Yuk alla scoperta del mondo, la recensione

Siamo nel Grande Nord. Kina e Yuk sono due innamorati. Lei ha il pelo bianco, è incinta e sta per partorire; lui è color cenere, molto più robusto di lei, e trascorre le sue giornate a procacciare il cibo per sé e per la sua compagna in quegli aspri e innevati territori dello Yukon canadese. Kina e Yuk sono due volpi artiche inseparabili e il Grande Nord è la loro casa. A causa della pressione antropica e del surriscaldamento globale, tuttavia, l’habitat di Kina e Yuk sta subendo delle trasformazioni repentine. Un giorno, durante un quotidiano girovagare, la lastra di ghiaccio sotto le zampe dei due compagni si spezza e Yuk resta imprigionato su un blocco di ghiaccio che pian piano viene spinto dalla corrente oceanica verso il largo. Yuk non può più tornare indietro e le due volpi artiche sono destinate a separarsi.

Tornata nella sua tana senza più il suo compagno, Kina scopre che qui dentro si è insediata una volpe rossa – temuto predatore – e quindi la volpina dal pelo bianco è costretta ad intraprendere un lungo viaggio tra i ghiacci per cercare del cibo così come una nuova casa. Kina intraprende una lunghissima avventura solitaria nei freddi territori dello Yukon fino ad arrivare a Jack City, un piccolissimo villaggio innevato in cui si teme la minaccia notturna dei lupi. Spaventata e smarrita, ormai prossima a partorire, Kina deve trovare una nuova tana sicura al più presto e sperare che un giorno, prima o poi, possa ricongiungersi con il suo Yuk.

Ormai, con sempre maggior frequenza, ci stiamo ritrovando a parlare di un cinema dal piglio naturalista in cui il documentario sposa la messa in scena finzionale all’insegna dell’infotainment, ovvero uno splendido intrattenimento che riesce a fare informazione (svolgendo perciò anche una funzione didattica) nel miglior modo possibile.

È un po’ la nuova frontiera di un certo cinema documentaristico che dagli anni novanta in poi ha preso sempre più piede in Francia, portando alla realizzazione di alcuni documentari (a volte questo termine risulta davvero tanto riduttivo) che sono assolutamente dei capolavori e che sanno essere molto più cinematografici di tanto cinema di finzione.

È il caso di Microcosmo – Il popolo dell’erba (scritto e diretto da Claude Nuridsany e Marie Pérennou nel 1996) a cui è seguito, nel 2005, l’enorme successo de La marcia dei pinguini di Luc Jacquet e del successivo La marcia dei pinguini – Il richiamo, sempre dello stesso Jacquet. Poi c’è stato l’avventuroso Amazzonia di Thierry Ragobert e Luc Marescot e solo qualche mese fa abbiamo visto in sala La quercia e i suoi abitanti di Laurent Charbonnier e Michel Seydoux che, ad oggi, resta probabilmente la punta di diamante all’interno di questo filone cine-documentaristico.

Adesso arriva nelle sale italiane anche Kina e Yuk alla scoperta del mondo diretto e co-sceneggiato da Giullame Maidatchevsky, biologo e documentarista che nel 2018 ci aveva già portato nella gelida Lapponia con Ailo – Un’avventura tra i ghiacci, ovvero un avventuroso documentario di formazione che si prefiggeva l’obiettivo di raccontare la difficile quotidianità di una renna durante le quattro stagioni relative al suo primo anno di vita.

E questo Kina e Yuk alla scoperta del mondo nasce proprio sul modello di Ailo, perché ne ricalca lo stile artistico così come quello documentaristico, ricorrendo ad una narrazione molto articolata e complessa (potremmo dire proprio da film avventuroso!) ma accompagnata da un voice over continuo che, a metà strada tra la favola e il racconto pedagogico, ci canta le gesta delle due volpi protagoniste proprio come accadeva con la piccola renna nel precedente Ailo.

Così facendo, Giullame Maidatchevsky ha individuato uno stile narrativo molto personale e riconoscibile, i suoi sono film che esprimono appieno il concetto di infotainment poiché è proprio quello che fanno in maniera nuda e cruda: informano e intrattengono al tempo stesso.

Si, perché Kina e Yuk alla scoperta del mondo è un film d’avventura a 360° e Kina e Yuk sono due personaggi che hanno una vera e propria missione da compiere, sogni da raggiungere e ostacoli da superare. Sono due protagonisti a tutto tondo con cui è facilissimo empatizzare, si tifa per loro e ci si emoziona davanti ad ogni loro successo. Quasi al pari di una favola che inizia con il proverbiale C’era una volta, anche quella di Kina e Yuk ci viene subito presentata come una difficile storia d’amore e di sopravvivenza tra due esseri viventi che lottano ogni giorno per poter stare insieme. Dunque, Kina e Yuk alla scoperta del mondo dichiara subito la sua matrice cinematografica e palesa la presenza di una costruzione filmica che rincorre l’intrattenimento più sincero.

Al tempo stesso, però, quello di Giullame Maidatchevsky è anche un documentario naturalista puro poiché si impegna a fotografare senza filtri quelle che sono le condizioni di vita attuali degli animali che davvero popolano lo Yukon canadese. E la voice over che per tutta la durata del film accompagna e sostiene la narrazione, oltre a rendere maggiormente comprensibile e avvincente l’avventura delle due volpi, ci porta alla conoscenza di un ecosistema naturale che sta andando incontro all’estinzione a causa di un sempre più allarmante surriscaldamento globale.

Quindi attraverso la storia delle due volpi artiche Kina e Yuk, Maidatchevsky riesce a fare della sana informazione e denuncia, al tempo stesso, una situazione di cui si parla sicuramente molto (Giullame Maidatchevsky non è di certo il primo che ci pone davanti alle pericolose conseguenze di questo surriscaldamento terrestre) ma che spesso sembra arrivare ai più in modo un po’ troppo superficiale, come se questo non fosse un problema che possa davvero riguardarci in prima persona.

Pur essendo la colonna portante dell’espressione artistica dell’autore, ci si domanda durante la visione di Kina e Yuk alla scoperta del mondo quanto fosse davvero essenziale l’utilizzo della voice over per rendere chiara l’avventura delle due volpi così come il messaggio ecologista che sta alla base del tutto. Si, perché a volte si ha la sensazione che quel voice over, anziché rafforzare, possa banalizzare e sminuire ciò che invece è reso straordinariamente dalla potenza evocativa delle immagini. In molti momenti, dunque, si ha davvero la percezione che lo stesso identico film, senza l’accompagnamento del narratore, sarebbe potuto essere molto più artistico, maturo e incisivo.

Problema, questo, che tuttavia viene enfatizzato pesantemente dalla versione italiana in cui il ruolo del narratore è affidato a Benedetta Rossi (si, la food-blogger e conduttrice marchigiana famosa per il format Fatto in casa da Benedetta) che, con la sua voce accomodante e quasi da mamma chioccia, finisce per relegare il film ad una strana dimensione infantile che mal si addice al prodotto. Nella versione originale francese, infatti, la narrazione è sicuramente più matura e seriosa poiché affidata al mestiere dell’attrice Virginie Efira.

Giuliano Giacomelli

PRO CONTRO
  • Un ottimo prodotto di infotainment, capace di funzionare molto bene sia sotto il profilo cinematografico che sotto quello documentaristico.
  • Kina e Yuk sono due protagonisti eccezionali.
  • Visivamente il film è una coccola per gli occhi.
  • L’utilizzo così massiccio di un narratore esterno che, a volte, sembra detrarre potenza alle immagini mozzafiato.
  • L’adattamento italiano, che si affida al voice over di Benedetta Rossi, fa nascere qualche interrogativo.

 

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