La meccanica delle ombre, la recensione

Duval (interpretato da François Cluzet) è un ex alcolista alla disperata ricerca di un lavoro. Ed è per questo che accetta un’offerta che puzza di guai, ovvero trascrivere a macchina intercettazioni telefoniche per conto di una misteriosa società. Ovviamente il lavoro si rivelerà tutt’altro che tranquillo e Duval finirà per rimanere invischiato, suo malgrado, in un intrigo più grande di lui.

Di fatto guardando La meccanica delle ombre non si può che rimanere invischiati, proprio come il protagonista, in quel sottobosco di misteri e complotti che affollano la trama. Il fascino del plot è accresciuto dall’identificazione col personaggio di Cluzet, ovvero l’uomo comune per eccellenza: naturalmente noi spettatori non vorremmo davvero finire nel ginepraio in cui si ritrova Duval, ma bisogna ammettere che il quadro dipinto esercita un’innegabile suggestione (tanto più che ce lo godiamo seduti al sicuro in una sala cinematografica, a differenza del povero protagonista). Del resto il punto di forza di La meccanica delle ombre sta più nel potere evocativo della storia che nella storia in sé, la quale ricorda troppo film come I tre giorni del condor o La conversazione per risultare davvero originale.

Nonostante ciò, l’esordio al lungometraggio di Thomas Kruithof si presenta in fin dei conti come un buon prodotto, contraddistinto da una narrazione tesa e asciutta che non annoia sebbene se ne intuiscano facilmente i plot point.

La meccanica delle ombre è nelle nostre sale dal 6 aprile, distribuito da Europictures.

Giulia Sinceri

PRO CONTRO
L’atmosfera suggestiva. Non presenta una storia particolarmente originale.

Di seguito due scene tratte dal film.

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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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La meccanica delle ombre, la recensione, 7.0 out of 10 based on 1 rating

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