La vita oscena, la recensione

Oscena la vita o osceno il film? Difficile a dirsi. La pellicola del regista Renato De Maria, trasposizione dell’omonimo romanzo autobiografico di Aldo Nove, è stata presentata alla scorsa edizione del Festival di Venezia nella sezione Orizzonti, ricevendo più fischi che applausi.

Nel lontano 2002, De Maria ha realizzato Paz, liberamente ispirato ai personaggi di Andrea Pazienza, con il quale aveva ottenuto due nomination ai David di Donatello, cinque Nastri d’Argento e altri prestigiosissimi premi cinematografici. Bei tempi quelli.

Poi, nel 2009, con La prima linea il regista ha portato in scena il romanzo autobiografico di Sergio Segio raccontando la sua militanza nel gruppo armato rivoluzionario. Un’opera poco convincente dal quale lo stesso Segio ha preso le distanze. Ha seguito tanta tv, con regie per le fiction Distretto di polizia e Medicina generale.

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Fino al ritorno al cinema con La vita oscena, un film confusionario, noioso e forzatamente filosofico. La classica visione che non si consiglierebbe neanche per fare un torto al proprio peggior nemico. In questa pellicola la sceneggiatura è un optional. Lo script, curato dallo stesso regista in collaborazione con l’autore del romanzo, per lo più è formato da infinite ripetizioni di versi poetici che mal si adattano alle immagini mostrate (volutamente?) e che vengono interpretate in modo a dir poco discutibile da un narratore esterno dalla voce inespressiva per i quasi 90 minuti e più di durata. Un voice over invasivo, petulante, fastidioso, irritante e altamente anticinematografico, che riesce ad avere quasi un effetto refrattario nello spettatore.

La storia è quella di Andrea, interpretato dall’attore francese Clément Métayer, un adolescente dall’animo sensibile che vive in una famiglia quasi perfetta formata da una madre hippie, interpretata da Isabella Ferrari, e un padre molto presente. Tutto cambia dopo la morte dei due: il povero ragazzo è letteralmente sconvolto e decide di intraprendere la strada dell’autodistruzione, facendo uso di ogni tipo di droga e vivendo una vita dissoluta e, appunto, “oscena”. Per varie volte, Andrea tenta il suicidio senza riuscirci.

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Un romanzo di formazione portato sullo schermo nel peggiore dei modi, con una evidente difficoltà da parte degli sceneggiatori nel trasformare in script una vicenda forse difficile da trasporre in immagini. Si è scelto di procedere rimanendo fedeli alla carta stampata, ma questo è un modus operandi che spesso non premia l’opera filmica.

Tra scene assurde e inverosimili, visioni oniriche totalmente gratuite e confuse, più di una volta si scade nel ridicolo involontario, con pretese autoriali che sfociano nel trash più eclatante. Si vorrebbe shockare o disturbare nel rendere in maniera esplicita il percorso distruttivo del protagonista. Si fallisce.

Anche il comparto attoriale non aiuta e se il giovane Clément Métayer non funziona in quanto a mancanza di espressività, un po’ tutto il cast di contorno delude, da Isabella Ferrari nel ruolo della mamma “fantasma”, a Eva Riccobono e Iaia Forte.

Insomma, un completo disastro.

Rita Guitto e Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • La fotografia di Ciprì esprime con un certo gusto psichedelico la discesa agli Inferi del protagonista.
  • Sceneggiatura disastrosa, con voce narrante invadente e scrittura dei personaggi superficiale.
  • Spesso si scade nel ridicolo involontario.
  • Gli attori non convincono.
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Valutazione: 4.0/10 (su un totale di 1 voto)
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La vita oscena, la recensione, 4.0 out of 10 based on 1 rating

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