Lasciati andare, la recensione
Il dottor Elia Venezia (Toni Servillo) è uno psicoterapeuta annoiato e consapevolmente imprigionato nel proprio limbo emotivo. Lui e sua moglie Giovanna (Carla Signoris) sono separati, eppure continuano ad abitare l’uno vicino all’altra, scambiandosi ripicche, conforto e condividendo momenti quotidiani. Questa stasi autoimposta verrà scossa quando, in seguito a un malore, Elia s’iscriverà in palestra e incontrerà la vivace personal trainer Claudia (Verónica Echegui), determinata a restituirgli l’entusiasmo per la vita.
Lasciati andare, terza regia di Francesco Amato, è dunque la storia di un incontro tra due opposti inspiegabilmente complementari proprio come la mente e il corpo, di cui i protagonisti sono evidente incarnazione. Il risultato è una commedia umana semplice, quasi esente da luoghi comuni, che adotta un originale punto di vista per raccontare la crisi di mezza età. Il merito va a una regia scrupolosa e a interpretazioni disinvolte e misurate. Buona la scrittura dei comprimari, che arricchiscono il grigio microcosmo di Elia di variopinte sfumature, mettendo in moto l’ingranaggio di nuovo vigore fisico e intellettuale.
Protagonista di questa pellicola letteralmente scatenata è un inedito Toni Servillo, che si cimenta con inaspettata leggerezza in un ruolo decisamente insolito nella sua filmografia. O meglio, Elia inizialmente farà pensare a tanti dei personaggi che hanno reso celebre l’attore campano per via della sua austera solitudine o dell’espressione disillusa. Tuttavia, nel corso della metamorfosi a ritmo di stretching, scopriremo un interprete in grado di spogliarsi delle movenze a lui familiari e padroneggiare il registro brillante divertendosi e divertendo. Accanto a lui, due certezze del cinema nostrano: l’inarrestabile Luca Marinelli e l’elegantissima Carla Signoris, che è sempre un piacere vedere sul grande schermo.
Lasciati andare è un inno alla spontaneità e al coraggio; un’apologia dell’imperfezione e del paradosso. Un film in grado di coinvolgere e spiazzare, indagando con garbo tra le complessità dell’animo umano e tentando, senza presunzione, di dar loro senso. Il suo miglior pregio è proprio non prendersi troppo sul serio senza però mai peccare di superficialità. Unico difetto è un evidente squilibrio tra la prima macro sequenza – decisamente più briosa e sagace – e la seconda, meno arguta e imprevista.
Chiara Carnà
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