Piggy, la recensione

Poco più che adolescente, Sara è una ragazza che soffre di obesità. Vive in un piccolo paese della Spagna e, insieme alla sua famiglia, gestisce la macelleria locale. Sara vive male la sua condizione fisica soprattutto perché, a causa dei chili di troppo, è spesso oggetto di scherno da parte dei suoi coetanei. Non sono solo i maschietti a denigrare le sue forme, soprattutto le ragazze più in voga della scuola si divertono a deriderla chiamandola – appunto – “Piggy” con riferimento sia alla sua stazza che all’attività di famiglia. In una giornata come tante, sotto l’arsura di un sole che sembra rendere tutto più faticoso, Sara si reca in piscina e qui deve sottostare all’ennesimo atto di bullismo da parte dei suoi coetanei. I vestiti di Sara vengono rubati, così come lo zainetto con tutti i suoi averi, e la ragazza è costretta a tornare a casa seminuda, piangendo, umiliata sotto gli occhi di tutta la comunità. Ma le cose stanno per cambiare per Sara. Si, perché in paese è appena arrivato uno straniero, un uomo cupo e silenzioso, che si invaghisce proprio di Sara e decide di punire quelle ragazze che si sono sempre prese gioco di lei.

Giovedì 20 luglio 2023.

Nelle sale italiane esplode il fenomeno Barbie di Greta Gerwig, ovvero il film che si prepara a sbancare i botteghini di tutto il mondo e a diventare il nuovo fenomeno cinematografico della cultura pop. Ma anche il film che sdogana definitivamente un certo pensiero femminista, lo depura d’ogni valenza dichiaratamente sociale o impegnata per metterlo al centro di una gigantesca macchina cinematografica succhia-soldi e di color rosa shocking.

In questo stesso giorno dell’anno, I Wonder Pictures pensa bene di cavalcare quest’onda femminista per portare nelle sale italiane lo spagnolo Piggy, opera prima della regista Carlota Pereda nonché un selvaggio bully movie che potrebbe essere ironicamente letto come un malsano e putrescente rovescio della medaglia del film della Gerwig.

Tratto da un cortometraggio della stessa regista, che ha fatto incetta di premi fino ad aggiudicarsi nel 2019 il premio Goya come miglior cortometraggio di finzione (potete vederlo qui), Piggy è diventato in breve tempo un piccolo fenomeno cinematografico capace di riaccendere l’attenzione nei confronti del cinema spagnolo di genere. Il film, che è stato ampiamente applaudito dalla critica, ha esordito nel 2022 sui prestigiosi schermi del Sundance Film Festival, a cui è seguito il Festival del Cinema di San Sebastiàn fino ad arrivare anche nei nostri circuiti della Festa del Cinema di Roma (nella sezione indipendente e collaterale Alice nella Città).

Negli ultimi anni, a causa dell’esponenziale corsa al progresso tecnologico da cui sono scaturiti millemila social network con annessi profili digitali che devono essere sempre più perfetti e sempre più accattivanti, sono esplose così tante forme di cyberbullismo che hanno trasformato il “bullo” davvero in una pericolosissima piaga sociale.

Cyber-stalking, Shitstorm, Cyber-flashing, Body-shaming, Stalkerware e Revenge-porn. Queste sono solo alcune delle più moderne forme di bullismo nate nell’era digitale, a seguito di un uso sconsiderato del mezzo informatico.

In un periodo storico come questo, dunque, stupisce non poco ritrovarsi fra le mani un bully movie come Piggy, perché nonostante l’imbarazzo della scelta sulla forma di bullismo da condannare, la regista Carlota Pereda pensa bene di scegliere quella più classica. Quella più fisica. E se non fosse per una cattiveria inscenata nei primi minuti di film (che riguarda l’utilizzo di un social network ma che comunque non costituisce l’evento scatenante), Piggy decide di parlare di bullismo nella sua forma più storica, quella che riguarda la denigrazione fisica con cattiverie fatte dal vivo per un’umiliazione immediata, diretta, da cui non ci si può nascondere.

Da questo punto di vista, dunque, Carlota Pereda porta in scena un film anche un po’ atipico per i tempi che stiamo vivendo, confezionando una pellicola contro il bullismo che abbraccia il linguaggio del cinema di genere ma che sembra provenire da un altro periodo storico.

Per tutto il primo atto del film, che risulta senza dubbio anche quello più riuscito, Piggy sembra quasi voler essere il tentativo di proporre una versione iberica del celebre Carrie – Lo sguardo di Satana (senza l’aspetto soprannaturale, ovviamente).

E quindi Piggy si presenta con un primo atto davvero mozzafiato, perché non si preoccupa minimamente di dover piacere allo spettatore moderno. Carlota Pereda ci trascina sin dalle prime immagini in un film sporco, selvaggio, respingente nella messa in scena e che non ha bisogno di nessun vezzo artistico modaiolo per rendere lo spettacolo accattivante.

Partendo proprio dal poster, infatti, Piggy attua un discorso molto interessante sul linguaggio cinematografico moderno. Rinnega la messa in scena ricercata, volta le spalle al cool e a tutto ciò che può apparire artificiale o artificioso, arriva subito al sodo e lo fa attraverso un’estetica che insegue lo squallore della realtà. Ma lo fa in modo sincero, autentico, non alla maniera intellettuale dei prodotti marchiati A24, tanto per intenderci.

E quindi i primi minuti del film riescono davvero nell’intento di mettere a disagio chi guarda, facendo toccare con mano la frustrazione fisica e psicologica della protagonista. E questo gioco perverso viene abilmente reso grazie ad una sinergia perfetta e tangibile fra regia e direzione attoriale.

Facendo il salto nel lungometraggio, Carlota Pereda ha la brillante intuizione di portarsi dietro la protagonista del suo cortometraggio, la bravissima Laura Galán, che torna ad interpretare la vittima/carnefice. Sara e che dimostra di avere un’intesa con la regista non indifferente. Laura Galán si affida totalmente alle mani della Pereda e non ha timore di esibire il suo fisico e metterlo al servizio anche di scene scomode (come quella in cui è costretta a correre semi-nuda lungo la strada assolata). Allo stesso tempo, la regista si mostra coraggiosa e sa molto bene che, al fine di ottenere un risultato più efficace, deve osare e quindi mostrare bene il fisico sgraziato della sua protagonista. Senza pudore, senza vergogna. E quindi Carlota Pereda, quasi alla pari dei bulli, aggredisce con la macchina da presa il fisico della sua protagonista, mostra nel dettaglio ogni imperfezione del corpo di Sara, così da accentuare tantissimo quel senso di impotenza e vulnerabilità che prova la protagonista del racconto.

Il primo atto di Piggy riesce seriamente a turbare lo spettatore, perché questo, grazie alla suddetta sinergia tra Carlota Pereda e Laura Galán, si vede costretto a vivere sensazioni contrastati contemporaneamente: ci si diverte per le azioni che i bulli praticano sulla protagonista ma, al tempo stesso, ci si sente indignati per quello che sta accadendo sullo schermo.

Tutto è perfetto nel primo atto. Tutto.

Ma l’incanto è destinato a finire nel momento in cui il film raggiunge il suo punto più alto, il plot twist. Un colpo di scena che arriva poco prima della metà, quando la regista si spinge oltre nel giocare con la grammatica cinematografica e distrugge tutte le aspettative degli spettatori. Si, perché quando ormai si ha la certezza che si sta assistendo ad un bully movie nudo e crudo, Piggy cambia completamente linguaggio e persino genere. Tutto muta con l’ingresso di un nuovo personaggio, un forestiero fuori di testa che si invaghisce della protagonista e le risolve in un batter d’occhio tutti i problemi.

E così Piggy si trasforma in una grottesca e respingente love story fra due personaggi posti ai margini della società, due individui sbagliati che combattono il male con il male stesso.

Da questo momento in cui narrativamente tutto cambia, Piggy subisce una brusca battuta d’arresto. La narrazione si inceppa, tutto inizia ad incartarsi su sé stesso, e il film paga pegno per aver voluto sorprendere troppo presto con un plot twist utile a sbaragliare le carte in tavola. Chiusa la parentesi bullismo, purtroppo, il film inizia a girare a vuoto, non sa più cosa deve essere o dove andare a parare.

Ma oltre ad una dilatazione narrativa che porta a far percepire il film molto più lungo di quello che in realtà è (il film dura appena 90 minuti), il problema principale in cui inciampa Piggy nella sua seconda parte è quello di non mantenere le promesse iniziali. Perché tutta quella cattiveria che il film ci fa respirare e toccare nel primo atto, quella spavalderia nel non porsi problemi davanti a situazioni o immagini scomode, nel secondo atto viene spaventosamente meno. Non solo il film perde grinta e coraggio, ma va incontro ad una serie di scelte sbagliate che lo conducono verso un buonismo che proprio non gli appartiene.

E quindi si arriva alla fine del film un po’ spaesati su ciò che si è visto, quasi incapaci di esprimere un giudizio convinto sull’opera. Perché mentre scorrono i titoli di coda ci si domanda con una certa insistenza a cosa sia servita quell’estetica e quella narrazione così malsana e disagevole se poi il punto d’arrivo deve essere così educato e poco coraggioso.

Quindi Piggy, alla fine della corsa, è un “anomalo” film contro il bullismo ma riuscito solo per metà. Sicuramente si fa forte di una messa in scena tanto scarna quanto seducente, funzionale alla narrazione, ma purtroppo è eccessivamente sbilanciato nella gestione di ritmi e nel dosaggio della cattiveria. Di sicuro, però, Piggy ha più carattere artistico di molti film di genere che ci sono giunti da Hollywood negli ultimi anni.

Carlota Pereda è una regista assolutamente da tenere d’occhio!

Giuliano Giacomelli

PRO CONTRO
  • La sinergia evidente fra regista e interprete protagonista, ovvero Carlota Pereda e Laura Galán.
  • L’interpretazione di Laura Galán.
  • Un bully movie assolutamente atipico.
  • Un primo atto straordinario.
  • La seconda parte del film è un po’ tutta sbagliata.
  • Ritmo altalenante.
  • Un buonismo finale assolutamente fuori luogo.
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Valutazione: 6.5/10 (su un totale di 2 voti)
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