Taormina Film Fest 62: documentario Ukraine on Fire e incontro con Oliver Stone

Presentato in anteprima mondiale al Taormina Film Festival, Ukraine on Fire (2016) segna il debutto alla regia del produttore ucraino, da quasi dieci anni attivo negli Stati Uniti, Igor Lopatonok. Forte del contributo, come coproduttore e come volto delle interviste, del maestro Oliver Stone, il documentario si colloca, del resto, nettamente, nel solco dell’opera di quest’ultimo.

L’estetica del prodotto, a cominciare dalle soluzioni grafiche ampiamente utilizzate per mettere in evidenza snodi e personaggi, è decisamente più televisiva che cinematografica: televisiva è l’origine del repertorio utilizzato, televisivo è il bersaglio polemico del documentario – ovvero la rappresentazione data dai media occidentali della crisi ucraina del 2014 –, televisivo è infine il principale obiettivo di distribuzione dichiarato dall’altra coproduttrice Eleonora Granata, nell’incontro con pubblico stampa al termine della proiezione.

Lopatonok adopera, d’altra parte, lo stesso linguaggio “politico” di Stone, campione indiscusso della Hollywood civile, esponendo la propria tesi con nettezza e rigore: dietro la forma di una rivoluzione di popolo, la deposizione del presidente ucraino filo-russo Victor Yanukovich, nel febbraio 2014, e la successiva instaurazione di un governo filo-occidentale, orientato all’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea, furono, nella sostanza, un colpo di stato, che sfruttò e manipolò la pressione della lunga protesta europeista di piazza Maidan, a Kiev; un cambio di regime orchestrato in concorso tra forze interne dell’estrema destra, d’ispirazione nazionalista e neonazista, e appoggi esterni – principalmente di natura finanziaria – in vario modo riconducibili al governo degli Stati Uniti.

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Il progetto di Lopatonok nasce in presa diretta nel corso degli eventi stessi, partendo proprio dalle riprese dal vivo della protesta di Maidan, e si arricchisce successivamente delle interviste, condotte da Stone su scaletta del regista ucraino, all’ex-presidente Yanukovich, all’ex-ministro dell’interno Vitaliy Zakharchenko e, soprattutto, al presidente russo Vladimir Putin.

Nell’analizzare i fattori politici interni della crisi ucraina, Lopatonok evidenzia anzitutto la duplice composizione etnica del paese, in cui l’elemento autoctono, maggioritario nell’ovest del paese, si mescola a quello russo, maggioritario nell’est, nella regione del Donbass. Mostra poi come la destra nazionalista ucraina, europeista sulla carta, s’ispiri orgogliosamente al credo xenofobo dei movimenti locali che durante la seconda guerra mondiale appoggiarono in armi l’invasione nazista dell’Unione Sovietica.

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Ma è nell’analisi dello scenario internazionale che Lopatonok palesa maggiormente la propria sintonia di vedute – e il proprio debito d’ispirazione – con il maestro Stone: la rivolta di Maidan, come la “rivoluzione arancione” del 2004, che l’aveva preceduta, è parte del gioco geopolitico d’espansione verso est della NATO e della sfera d’influenza statunitense, ai danni della Federazione Russa. La secessione dall’Ucraina delle regioni a maggioranza russa – de iure in Crimea, passata con referendum sotto la sovranità della Federazione Russa, de facto nel Donbass – presentata dai media occidentali come una sfida di Vladimir Putin alla legalità internazionale, andrebbe invece interpretata come una semplice reazione difensiva.

Maidan sarebbe dunque parente stretta dei molti colpi di stato con cui gli Stati Uniti hanno disegnato l’assetto del mondo durante il mezzo secolo della guerra fredda. Lopatonok ci racconta, insomma, nella forma di un documentario televisivo, la stessa storia che Oliver Stone ci ha raccontato al cinema con Salvador (1986). A cambiare sono solo lo scenario e le modalità d’intervento, con il soft power economico delle ONG e dei finanzieri – il filantropo George Soros su tutti – a sostituire le azione dirette della CIA e con il formidabile strumento dei media 2.0 ad affiancare la propaganda “tradizionale” di stampa e tv.

Taormina FilmFest Stone

Delle molte risposte date da Oliver Stone nell’incontro con pubblico e stampa, la più interessante è stata forse l’unica che non riguardava in alcun modo il documentario: indipendentemente dall’esito delle elezioni presidenziali di novembre, la politica estera degli Stati Uniti non cambierà. Nel prologo di JFK (1991), Stone riproponeva il discorso di fine mandato del presidente Eisenhower e la sua denuncia di come la gigantesca espansione del “complesso militare-industriale” rappresentasse un pericolo concreto per la democrazia americana. Nella ricostruzione di Stone, fu l’idealismo di Kennedy a soccombere per primo a questa minaccia. In Nixon – Gli intrighi del potere (1995) è invece il presidente forse meno popolare e più spregiudicato della storia a rendersi conto di come il suo ruolo sia, nei fatti, limitato da apparati burocratici ed economici a lui stesso superiori. Nel documentario di Lopatonok vediamo i neoconservatori americani, già artefici del disastro iracheno, soffiare sul fuoco della protesta ucraina, ma vediamo anche il presidente Obama, icona un po’ sbiadita di rinnovamento e moderazione, appoggiare con decisione il governo provvisorio uscito, con vari strappi costituzionali, dalla rivolta.

Taormina Film Festival Oliver StoneLopatonok sposa, dunque, la totale disillusione di Stone circa lo stato di salute della democrazia in occidente, commettendo di riflesso il fatale errore di apparire un po’ troppo allineato con l’autocrate Putin. Come lo stesso Stone, l’esordiente regista non rinuncia, d’altra parte, a una visione idealista del lavoro di denuncia: possono anche sparare in faccia al presidente e farci credere che un folle gli ha sparato alle spalle, ma finché uno Zapruder sarà lì con la sua cinepresa, la verità e la democrazia non potranno mai dirsi morte.

Inconsciamente attaccato a quest’archetipo, in conferenza stampa Stone muove, non a caso, la sua unica critica a Lopatonok per non aver affrontato nel documentario una fondamentale questione di balistica: furono i militanti neonazisti – e non la polizia – a sparare per primi sulla folla di Maidan, per accendere la miccia della rivolta?

Enrico Platania

PRO CONTRO
Benché su standard estetici televisivi, il documentario di Igor Lopatonok si inserisce con serietà e passione nel solco dell’opera del coproduttore e intervistatore Oliver Stone. La critica alle mistificazioni dei media occidentali rischia, in diversi punti, di risolversi in un sostanziale allineamento con le posizioni della Russia di Putin.
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