The Ring 3, la recensione

Tutto ha avuto inizio da una videocassetta. La guardi, ti squilla il telefono e ti rimangono sette giorni da vivere. Erano gli anni ’90, ovviamente, quando le videocassette erano il modo più diffuso di fruire il cinema a casa e lo spunto è partito dal Paese del Sol Levante con un romanzo, Ringu, scritto nel 1991 da Koji Suzuki e trasformato in film nel 1998 da Hideo Nakata. Un grande successo cinematografico che ha letteralmente rilanciato la ghost story in tutto il mondo, con un massiccio sdoganamento dell’horror d’atmosfera di matrice asiatica. Ring ha dato origine a una saga cinematografica composta da un sequel-lampo non ufficiale (Spiral, nel 1998), un sequel ufficiale (Ring 2, nel 1999), un prequel (Ring 0 – Birthday, nel 2000), una saga spin-off iniziata nel 2012 (Sadako 3D e sequel) e un cross-over con la saga di Ju-On nel 2016 (Sadako vs Kajako). Gli Stati Uniti potevano rimanere indifferenti a tanto succulento ben di Dio orrorifico? Ovviamente no e nel 2002 ha visto la luce The Ring, riuscitissimo remake yankee del film di Nakata che ha sdoganato ancor di più le suggestioni da ghost story asiatico-tecnologica.

E ora, dopo quindici anni dalla versione americana firmata da Gore Verbinski e dodici dal suo sfortunato sequel (diretto proprio da quel Nakata), arriva un terzo capitolo, Rings, che in Italia ha il più immediato titolo The Ring 3.

La prima cosa che può venirci in mente, ancor prima di guardare il film, è che la Paramount si sia mossa nei territori del sequel tardivo e i risultati al botteghino non troppo esaltanti che The Ring 3 sta riscuotendo un po’ avvalorano questa sensazione. Poi, una volta visto il film, arriva la conferma, perché questo terzo capitolo, che porta la firma del talentuoso regista di Tres Dìas F. Javier Gutiérrez, trova un approccio indeciso alla saga, come se avesse consapevolezza del suo essere temporalmente fuori posto.

Holt (Alex Roe) sta per andare al college, lasciando in paese la sua ragazza Julia (Matilda Lutz). I due promettono di sentirsi, messaggiarsi e video chiamarsi ogni giorno, ma a un certo punto Holt diventa irraggiungibile: non risponde al telefono, né ai messaggi, finché, una notte, una misteriosa ragazza contatta Julia su Skype dall’account di Holt. Preoccupata, Julia decide di recarsi al campus e viene a sapere che il suo ragazzo ha guardato un misterioso video prima di scomparire nel nulla.

La storia produttiva che sta dietro The Ring 3 è lunga e travagliata e un po’ rispecchia il risultato che il film restituisce. La Paramount Pictures ha messo il film in cantiere nel 2014, affidando subito la regia allo spagnolo Gutiérrez con l’intenzione di rilanciare il franchise con un film in 3D. La sceneggiatura del film è stata scritta da Jacob Estes (Mean Creek) e il più esperto David Loucka (Dream House, Hates – House at the End of the Street), ma poi riscritta da Akiva Goldsman (Io sono Leggenda, Il Codice Da Vinci). Il film era già pronto nell’autunno 2015, ma la Paramount ha spostato continuamente la data d’uscita fino all’inverno 2017 per ragioni strategiche di non sovrapposizione con altri film horror. E ora che abbiamo visto The Ring 3 possiamo notare in pieno il processo di riscrittura che ne sta a monte e che lo ha reso un film dai molteplici spunti (interessanti), però privi una coerenza complessiva.

La storia prende avvio da un approccio scientifico – seppur in un contesto teen – che riesce a dare nuova linfa alla storia di Samara e della sua maledizione, riagganciandosi, in parte, al medesimo approccio che era stato seguito da Ring 2 nel 1999. Ma quell’alone di astrusa pesantezza che caratterizzava il sequel giapponese, viene qui sostituito da un’aria più camp che punta su esperimenti universitari e l’inevitabile passaggio del video maledetto dal supporto magnetico (il VHS) a quello digitale (il file .mov), che consente un aggiornamento della formula e ne facilita la diffusione. Quella strada, però, viene presto abbandonata in favore del film d’indagine nel momento in cui i protagonisti sono direttamente coinvolti nel countdown dei sette giorni, rendendo più avvincente per lo spettatore la vicenda. Solo che viene aggiunto un ulteriore elemento, un video nel video, soluzione in parte mutuata dal giapponese Sadako 3D, che crea confusione e porta la storia in altri lidi che aprono uno spiraglio verso un terzo atto che somiglia davvero troppo a The Ring del 2002. Scopriamo, dunque, ulteriori e non necessari dettagli del passato di Samara e spuntano fantomatici villain ben più terreni della bimba fantasma, che contaminano il paranormale di The Ring 3 co lo pycho-thriller.

Insomma, un film senza un’identità ben precisa che cerca di distanziarsi dal prototipo ma irrimediabilmente finisce per clonarlo. Inoltre The Ring 3 è strettamente interconnesso al film del 2002 (invece trascura completamente gli eventi del sequel del 2005), per cui se non si ha una memoria storica di ferro o non si è visto il prototipo, si farà molta fatica a seguire questo terzo… ipotesi non del tutto improbabile, visto che il giovane target di riferimento nell’arco di 15 anni di tempo potrebbe essersi completamente rinnovato.

Gutiérrez, comunque, dimostra una mano saldissima dietro la macchina da presa e, formalmente, conduce il gioco con estrema professionalità dando al film una veste stilistica ricercata che non fa rimpiangere la regia di Verbinski. Anche il cast non delude, in particolare si fa notare in positivo la giovane italiana Matilda Lutz nel ruolo della protagonista, che in tempi recenti abbiamo visto in L’estate addosso di Muccino e L’ultima ruota del carro di Veronesi; in un ruolo di rilievo ci sono anche il Leonard di Big Bang Theory Johnny Galecki e Vincent D’Onofrio che sembra fare involontariamente il verso al non vedente Matt Murdock, di cui è stato avversario nella serie Netflix Daredevil.

Dunque, The Ring 3 non convince fino in fondo, non riesce a trovare il giusto compromesso tra l’estetica autoriale del regista e la natura di prodotto di consumo, di cui non accoglie i compromessi, come i brividi facili che queste operazioni solitamente promettono. Un peccato, perché si ha la sensazione che un boogeywoman come Samara Morgan non sia stato ancora sufficientemente sfruttato a dovere.

The Ring 4? A questo punto no, grazie.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Stilisticamente accattivante.
  • Cast variegato e capace.
  • Ci sono buoni spunti nel soggetto…
  • … ma regna la confusione e si notano i buchi di sceneggiatura.
  • Non riesce a trovare un compromesso tra l’horror d’autore e i brividini di bassa lega.
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