Underwater, la recensione

Underwater

Negli abissi marini nessuno può sentirti urlare”, dovrebbe recitare la tagline di Underwater, l’horror di William Eubank interpretato da Kristen Stewart e Vincent Cassel. Una ben riconoscibile citazione che può fungere da dichiarazione d’intenti, dal momento che il giovane regista già artefice del fantascientifico The Signal prende l’Alien di Ridely Scott come un prezioso bignami da sviscerare a suo piacimento e ricomporre negli abissi dell’oceano.

Non è di certo la prima volta che Alien viene rifatto con ambientazione marina, in fin dei conti insieme a quelli di Lo squalo e La Cosa possiede probabilmente il canovaccio più replicabile e replicato della storia del cinema fantastico contemporaneo. Un tentativo lo fece il nostro Antonio Margheriti nel 1989 con Alien degli abissi, anche se in quel caso non vigeva la regola della location unica (sotto)marina; ben più simili al capolavoro di Scott riordiamo Leviathan (1989) di George Pan Cosmatos e Creatura degli abissi (1989) di Sean S. Cunningham, ma anche Proteus (1995) di Bob Keen e Virus (1999) di John Bruno… questi ultimi due accuratamente influenzati anche da La Cosa di Carpenter. Inoltre, anche Deep Rising (1998) di Stephen Sommers e Blu Profondo (1999) di Renny Harlin in cui la contaminazione avveniva invece con Lo squalo di Spielberg, tanto per far sì che il cerchio si chiuda.

Underwater

Underwater racconta di un improvviso terremoto sottomarino in una zona nella Fossa delle Marianne, nell’Oceano Pacifico, forse causato dalla trivellazione scellerata di una base di ricerca scientifica. La stazione di ricerca in cui lavorano e vivono alcuni operai viene improvvisamente allagata e distrutta: si salvano in sei e guidati dal Capitano Lucien cercano di raggiungere una stazione subacquea non lontana dove alcune capsule possono portali in salvo in superfice. Ma il terremoto ha svegliato qualcosa che dormiva sotto i fondali oceanici e quel qualcosa ora è affamato!

Il buon Eubank non si vergogna a citare apertamente Alien e i suoi mostri hanno il medesimo ciclo vitale a step dei celebri xenomorfi, ma al di là dell’obbligato meccanismo a bodycount, punta tutto sul senso della claustrofobia che non è dato (almeno non sempre) da spazi angusti, ma dalla vastità del fondale oceanico in cui il buio pesto sovrasta qualsiasi possibilità di movimento, di orientamento, qualsiasi barlume di salvezza. Il regista riesce a trasmettere questo senso di impotenza e isolamento dato dalla location a disposizione, che appare ben più inquietante e disperato delle stesse creature mostruose.

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A tal proposito, accogliendo saggiamente il principio per cui il mostro meno si vede più si teme, in Underwater le creature non sono mai troppo visibili, sempre offuscate dalle tenebre, dall’acqua, dai movimenti repentini dell’inquadratura, eppure notiamo una certa influenza lovecraftiana nel design del boss, supportata da dettagli durante il film che potrebbero anche suggerirci un collegamento con il mito dei Grandi Antichi che hanno caratterizzato la letteratura del “Solitario di Providence”. A questo si unisce però una seconda tipologia di mostro, dal look molto simile ai necromorfi che hanno popolato gli incubi dei videogiocatori di Dead Space e, infatti, la dinamica narrativa che sta alla base di Underwater, in cui la missione consiste molto semplicemente nel muoversi da un punto A a un punto B senza lasciarci le penne, ricorda molto quella di un videogame. Ci fosse stato anche il gusto per l’eccesso gore e splatter di Dead Space saremmo stati molto più entusiasti.

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Apprezzabilissima l’onesta di fondo del prodotto, in cui si va diritti al punto con un ritmo molto concitato: il film ci immerge infatti immediatamente nel pericolo con un innesco dell’azione davvero notevole che ritratta con il passare dei minuti solamente perché troppo adagiato a meccaniche narrative collaudate e quindi prevedibili. Al di là di personaggi francamente logori come il buffone della compagna interpretato da T.J. Miller, pronto a scherzare anche in momenti di pericolo come da stanco canovaccio del genere, si fa apprezzare il personaggio principale interpretato da Kristen Stewart: Norah è malinconica e introversa, tutt’altro che un’eroina votata all’azione, eppure trova nella situazione di pericolo una missione da portare a termine che non è salvare la sua pelle, ma quella del gruppo per ragioni che qui non stiamo a rivelarvi. A tal proposito appare perfetta la scelta di Kristen Stewart, attrice difficile da collocare in contesti da cinema di genere, che qui trova la giusta chiave per emergere da protagonista. Non possiamo esimerci dal sottolineare l’ennesima strizzata d’occhio ad Alien con Norah in intimo sportivo che agisce da novella Ripley e lascia un buon ricordo anche nello spettatore più smaliziato.

Underwater

Privo di qualsiasi originalità, Underwater non lascerà di certo il segno e nel suo essere spudoratamente derivativo appare meno riuscito di una recente operazione analoga come Life – Non oltrepassare il limite, ma è comunque un b-movie di mestiere che pur non svettando per idee ne qualità generale, si lascia guardare con gusto senza mai annoiare.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Non mi sarei mai aspettato di dirlo ma Kristen Stewart è stata la scelta migliore per un horror claustrofobico.
  • Buon utilizzo degli ambienti per trasmettere un senso di claustrofobia non classico.
  • I mostri.
  • Un (bel) po’ Alien, un po’ Cloverfield ma anche ideale spin-off di Pacific Rim: Underwater è la fiera del già visto.
  • Tutto dannatamente prevedibile…
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Underwater, la recensione, 6.0 out of 10 based on 1 rating

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