Ferrari, la recensione del film di Michael Mann

Il ritratto che Michael Mann sceglie di fare di Enzo Ferrari è un biopic atipico, che non ripercorre per intero la vita del personaggio ma si concentra su un lasso di tempo molto breve: l’estate del fatale 1957, un momento cruciale per l’azienda e di grandi difficoltà famigliari. Ferrari, presentato in concorso all’80ª Mostra del Cinema di Venezia, uscirà nelle sale italiane il 14 dicembre.

La prestigiosa casa automobilistica rischia la crisi. La vendita di auto per il pubblico non decolla e per risollevare il fatturato è necessario vincere le corse, ottenendo copertura mediatica favorevole: le Mille Miglia sono l’occasione perfetta, per dare lustro al marchio e trovare nuovi finanziatori. Enzo Ferrari, interpretato da Adam Driver, si getta a testa bassa nell’impresa, con freddezza e determinazione. Anche per lasciare nelle retrovie del pensiero i suoi problemi personali: la perdita di un figlio ha definitivamente incrinato il rapporto con sua moglie e socia in affari (una splendida Penelope Cruz), mentre la sua amante, madre di un bambino nato fuori dal matrimonio, inizia a perdere la pazienza. Vuole ottenere il riconoscimento del figlio ed entrare ufficialmente a far parte della vita di Enzo, frenato dalle apparenze imposte dalla società borghese e dai vincoli economici che lo legano alla moglie.

Lungo uno degli ultimi rettilinei delle Mille Miglia, un tragico appuntamento col destino: scoppia uno pneumatico della Ferrari guidata dal pilota spagnolo Alfonso de Portago. L’auto travolge gli spettatori in attesa a bordo strada, uccidendo nove persone, tra cui cinque bambini. L’episodio passerà alla storia come la tragedia di Guidizzolo: Ferrari vince la Mille Miglia, ma a quale prezzo?

Mann riesce a portare sullo schermo una Modena viva, ben definita e riconoscibile: il contesto urbano italiano del dopoguerra è forse l’elemento più efficace e meglio riuscito del film, con gustose caratterizzazioni e dettagli che restituiscono le tipicità del territorio.

Gli attori, soprattutto Driver e la Cruz, funzionano, ma alcune scelte linguistiche adottate generano un effetto decisamente straniante: il cast è composto da attori italiani, spagnoli e americani. Parlano tutti un inglese “sporcato” da accenti italiani più o meno verosimili, mentre sullo sfondo le comparse si esprimono in italiano. L’esito in lingua originale è sgradevole e cacofonico, specialmente per un pubblico italiano.

Il respiro del Ferrari di Mann è il ritmo sincopato delle corse automobilistiche, alternato in modo tecnicamente ineccepibile a quello ampio del melodramma: un riferimento reso esplicito dall’intensa sequenza all’opera, in un montaggio che racconta il lutto, il dolore e le angosce dei personaggi principali.

Mann sembra voler portare in scena, attraverso questo contrappunto ritmico continuo, due universi paralleli: da un lato la dimensione domestica, fatta di sofferenze, responsabilità, e abitata da donne che cercano di rimettere insieme i cocci. Dall’altro, quello di un protagonista maschile freddo, che non vuole fermarsi ad ascoltare le proprie emozioni ed elaborare i traumi: Enzo preferisce correre. Correre per salvare l’azienda, correre per vincere la gara, correre per il puro piacere della corsa.

Tutto, pur di non affrontare la voragine delle responsabilità umane.

Sara Boero

PRO CONTRO
  • Una Modena sorprendentemente efficace e ben caratterizzata, con dettagli davvero gustosi.
  • La potenza del ritmo del melodramma, alternato a quello sincopato e adrenalinico delle gare.
  • L’ottima padronanza del linguaggio registico: si sente il mestiere, e la voglia di raccontare la storia.
  • L’imperdonabile scelta linguistica dell’inglese “sporcato” alternato all’italiano, impossibile da digerire (almeno da noi).
  • Alcuni cali di recitazione dei personaggi secondari, che spiccano negativamente per contrasto rispetto ai due protagonisti.
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