Wolfkin, la recensione

Ma che belli che sono i lupi mannari!

Mostri feroci e brutali, metafora della bestialità insita in ogni essere umano, simbolo dell’istinto ferino ma anche retaggio culturale di diversi popoli, nei quali il mito del licantropo, declinato in diverse accezioni, si presenta fin dai tempi più antichi.

E il cinema attinge da quelle storie, dal folklore, manipolando secondo le proprie esigenze questo iconico mito, talvolta protagonista di film horror spaventosi e violenti, altre volte alla mercé di digressioni fantasy per un pubblico più mainstream. Per noi amanti del gore, purtroppo, negli ultimi anni ha prevalso la seconda tendenza e tra le declinazioni action spettacolari della comunque pregevole saga Underworld e quelle più romantiche di quella di Twilight, di licantropi inquietanti e in salsa sanguinolenta ne abbiam visti davvero pochini.

Dopo la goffa prova italiana di Hai mai avuto paura? ci prova un regista del Lussemburgo a riabilitare la figura del buon vecchio uomo-lupo, si tratta di Jacques Molitor che alla sua seconda prova con un lungometraggio realizza il sorprendente Wolfkin, che fa convergere la licantropia con una intensa storia di amore materno.

Elaine è una madre single che ha cresciuto il figlio Martin tra molte difficoltà. Ora il ragazzino sta per diventare adolescente e dà molte preoccupazioni alla madre, a causa soprattutto di un’aggressività che manifesta nei confronti dei suoi compagni di scuola. Dopo l’ennesimo episodio di violenza verso un suo coetaneo, Elaine decide di condurre il figlio dai genitori paterni, una coppia di ricchi viticoltori che sono rimasti per anni all’oscuro dell’esistenza di un nipote. Il padre di Martin è scomparso nel nulla da molto tempo e ora i nonni sono fermamente convinti che il bambino debba ricevere un’educazione in linea con quella che hanno ricevuto tutti i membri della loro famiglia… una famiglia che nasconde un segreto sconvolgente con il quale la sprovveduta Elaine si troverà a fare i conti.

Arriviamo a Wolfkin attraverso un percorso spianato da qualche anno di horror arthouse, ovvero qui film dell’orrore che si ammantano di un alone autoriale. Non siamo nei territori dei film di Ari Aster e Robert Eggers, ma è chiaro che Jacques Molitor nel suo Wolfkin non voglia “solamente” raccontare una storia di licantropia, ma addentrarsi un po’ più a fondo in argomenti sociali. Che poi il mito del licantropo si presta benissimo ad essere metafora di qualcos’altro, basti pensare alla saga di Ginger Snaps (da noi Licantropia) che non è altro che il racconto dell’esplosione violenta e viscerale dell’adolescenza femminile con le sue prime pulsioni sessuali. E Wolfkin anche non ci risparmia un excursus sul coming of age (stavolta di un maschietto), dalla pubertà all’adolescenza, con tutto ciò che questa fase della vita comporta traslato in ambito orrorifico.

Però non è il racconto di formazione del piccolo Martin il focus del film, poiché lo sguardo sulla vicenda è in realtà quello di Elaine, interpretata dalla bravissima Louise Manteau, un punto di vista decisamente più originale che ci racconta lo stupore, l’orrore e la difficoltà per una madre di scoprire e cercare di accettare la natura letteralmente mostruosa del figlio, diventandone complice. Un po’ alla maniera del bel film di Ivan Kavanagh, Son (2021), ma con in più il tema dell’eredità famigliare.

Infatti, Wolfkin, oltre a toccare le dinamiche del coming of age e approfondire il complicato rapporto madre/figlio, si addentra anche nel tema delle tradizioni di famiglia, che in questo caso rappresentano i duri metodi educativi/repressivi supportati dai nonni paterni e pratiche di iniziazione che vanno a travolgere con tutto il loro orrore la vita di Elaine.

Non di meno, c’è il mistero sul papà di Martin, un uomo sfuggente che vediamo nell’introduzione al film e che poi è costantemente presente sottoforma di eredità, un’eredità che suona come una maledizione tanto per il piccolo Martin quanto per la sconvolta Elaine.

Ci sono tante cose negli appena 90 minuti di durata di Wolfin ,eppure Jacques Molitor riesce a tenere le redini dell’opera con estremo ordine mantenendo anche un costante interesse spettatoriale sulla vicenda, alternando un ritmo in parte sostenuto con esplosioni di violenza e di shock visivo che sanno lasciare il segno.

Wolfkin arriva nei cinema italiani il 24 agosto 2023 distribuito da Satine Noire, collana dedicata al cinema di genere di Satine Film.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Un film che sa toccare diverse tematiche e approfondirle.
  • L’approccio è quello tipico dell’horror arthouse, ma non dimentica di rivolgersi anche a un pubblico più avvezzo al cinema di genere puro.
  • Non è L’ululato o Dog Soldiers, Wolfkin affronta il tema della licantropia senza fare uno sfoggio primario di mostri ed effetti speciali.
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Valutazione: 7.5/10 (su un totale di 2 voti)
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