Assassinio a Venezia, la recensione
Sono passati dieci anni dai fatti raccontati in Assassinio sul Nilo ed Hercule Poirot (Kenneth Branagh) ha lasciato la professione di detective e si è trasferito a Venezia. Assediato da proposte di casi da risolvere, che sistematicamente declina, non riesce a sottrarsi all’invito della scrittrice e vecchia amica Ariadne Oliver (Tina Fey), a partecipare ad una festa organizzata per la notte di Halloween presso la residenza della cantante lirica Rowena Drake (Kelly Reilly).
Il Palazzo è tristemente noto per la sua macabra storia: un ex orfanotrofio dove si dice abbiano trovato la morte decine di bambini, a causa dell’incompetenza e disinteresse dei medici e delle infermiere. Da allora i loro fantasmi in cerca di vendetta infestano le sue stanze, tormentando i vivi e spingendoli al suicidio, come solo un anno prima era capitato alla giovane Alicia, amatissima figlia della Drake.
Il dolore è tale che Rowena decide di convocare alla festa Joyce Reynolds (Michelle Yeoh), famosissima medium, nel tentativo di richiamare e interrogare, attraverso una seduta spiritica, il fantasma della figlia. Ma le cose non vanno come sperato e il Palazzo mette a dura prova le menti di tutti, anche quella dell’infallibile Poirot.
Terzo capitolo della “Trilogia di Poirot” iniziata da Branagh nel 2017 con Assassinio sull’Orient Express e seguito nel 2022 da Assassinio sul Nilo, Assassinio a Venezia rappresenta per molti aspetti la naturale prosecuzione di un’opera volta, più che ad adattare i romanzi di Agatha Christie, a celebrare ed “approfondire” uno dei suoi protagonisti più celebri, che Branagh –regista e protagonista- si taglia e cuce su misura.
Molto liberamente ispirato a Poirot e la strage degli innocenti (Hallowe’en Party) del 1969, del libro si conserva in realtà poco: qualche aspetto del crime, la presenza di Ariadne Oliver (alter ego della stessa Christie nei romanzi) e un Poirot stanco, meno sicuro di sé e più fragile. Un aspetto che mentre nel romanzo risulta subordinato al crime, in Assassinio a Venezia è invece il cuore del film, che ruota interamente sui tormenti dell’investigatore in lotta per ritrovare sé stesso.
Del crime rimane poco e Branagh non perde l’occasione per ricordarcelo disseminando ovunque indizi in bella vista per lo spettatore, al quale a metà film ormai resta ben poco di misterioso da risolvere, se non la curiosità di come ne uscirà il protagonista.
Assassinio a Venezia prima che un crime, è una ghost story, che tra jumpscare e vocine inquietanti, si avvale di tutti gli stratagemmi narrativi del genere per raccontare una fiaba di Halloween che spaventa i bambini, giocando sulle suggestioni e invitando ancora una volta a domandarsi quanto sia labile il confine tra reale e immaginario. Hercule Poirot, tormentato dai fantasmi di due guerre e di troppi omicidi, è convinto che basti smascherare la “ciarlatana” Reynolds per togliersi dagli impicci; ma i segreti del Palazzo sono troppi e con lo scorrere delle ore visioni sempre più cupe e insistenti rischiano di sgretolare lentamente anche la sua mente infallibile, lasciando spazio al più spaventoso dei nemici: Il Dubbio.
Ritroviamo in questo capitolo parte di quel senso di sontuosità e opulenza che hanno caratterizzato i primi due, ma in chiave tetra e decadente, con una Venezia notturna e avvolta da una terribile tempesta, versione distorta della cartolina turistica a cui siamo abituati. Il Palazzo dove le vicende sono ambientate, tipica dimora nobiliare veneziana, è sinistro e inospitale, perfetto per intrappolare e portare alla follia un gruppo di persone costrette a passarci la notte. Evidenti per chi conosce la città le similitudini con Ca’ Dario, la dimora maledetta del Sestriere di Dorsoduro, la cui storia ha evidentemente influenzato non poco la scelta della location del film.
Assassinio a Venezia non deluderà le aspettative di chi aveva già apprezzato i primi due capitoli, proseguendo filologicamente sulla linea che Branagh aveva iniziato a tracciare. Un cast esemplare, capitanato da Branagh nel ruolo del “suo” Poirot, che non rispecchia a pieno, volutamente e deliberatamente, il personaggio creato dalla Christie.
Un film il cui più grande difetto forse sarà proprio negli occhi dei fan dell’autrice, che dovranno essere magnanimi nel giudicare una storia che più che mai svilisce la genialità di una grande –forse la più grande- giallista, in nome di una scelta narrativa diversa, apprezzabile ma non migliore.
Susanna Norbiato
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