Bloodshot, la recensione

Come vi abbiamo raccontato in altre circostanze, anche il mondo del Cinema sta facendo i conti con l’emergenza coronavirus. Si allunga la lista di quei film che hanno visto mutare in corso d’opera il proprio percorso distributivo. È il caso di Bloodshot, cinecomic con Vin Diesel, che aveva fatto in tempo ad esordire nelle sale di svariati paesi del mondo tra la fine di febbraio e la prima metà di marzo, salvo poi dover interrompere presto la sua marcia ed iniziare ad essere dirottato in VOD in diversi mercati, tra cui il nostro. In Italia, infatti, il film è disponibile da qualche giorno sulla piattaforma Chili al costo di 9,99 €, in sostituzione di un’uscita in sala che era inizialmente prevista per il 26 marzo.

Non sappiamo come possa averla presa Vin Diesel, che nel progetto credeva molto, anche per dimostrare di poter differenziare il proprio successo legato a doppio filo al franchise di Fast & Furious. Non è quindi per una questione di fama o denaro, considerando i numeri incredibili ottenuti da Dom Toretto e Famiglia, ma proprio per personalità ed ambizione. In questo senso, appare una scelta mirata quella di volersi confrontare con uno dei settori che va per la maggiore, quello dei cinecomics, con i pro (sfruttare la tendenza) ed i contro (avere i mezzi giusti per farlo) del caso. Un settore che fino ad ora Diesel ha toccato solo di striscio, come doppiatore monobattuta per Groot, presenziando nel MCU in maniera collaterale.

BLOODSHOT

Bloodshot è un personaggio della Valiant Comics (oggi Valiant Entertainment, che produce anche il film insieme a Sony/Columbia), un supersoldato potenziato dalla nanotecnologia, praticamente invulnerabile grazie al potere rigenerante dei naniti che agiscono all’interno del suo corpo. Nasce sul finire del 1992 sulle pagine di Eternal Warrior per poi partire, in seguito al buon riscontro dei lettori, con una serie tutta sua nel 1993. Bloodshot #1 vende la cifra stratosferica di oltre un milione di copie, è stato premiato come ‘miglior fumetto’ dalla Diamond Distributors (il distributore leader del settore dei comics americani) e per la ‘best innovation’ per la sua cover cromata (la prima del suo genere). È l’inizio del successo di quello che diventa uno dei personaggi fondamentali della Valiant con i suoi 7 milioni di albi venduti (e tradotti) in tutto il mondo, nonché uno dei nomi di punta del Valiant Universe – l’universo condiviso della casa editrice, nonché una possibile fonte dall’interessante potenziale cinematografico.

BLOODSHOT

Andando oltre le sventure distributive, cerchiamo di capire quale sia realmente il risultato sullo schermo. Capitan ovvio direbbe (come per tutti i film) che si tratta di un prodotto che potrebbe non piacere a tutti. Io correggo il tiro del capitano e rettifico l’affermazione: è un prodotto che di sicuro non piacerà a tutti. La spiegazione è molto semplice ed è da ritrovarsi in quello che oggi è il modello di riferimento del cinecomic, quanto meno per il grande pubblico. Aldilà di quelli che potrebbero essere i vostri gusti nello specifico e muovendoci, pertanto, in un contesto molto più ampio e generico, è innegabile come la Marvel abbia settato i parametri di riferimento di un certo cinema supereroistico. Non credo occorra sviscerare quali siano le caratteristiche di quel modello, fatto sta che oggi parlando in termini (appunto) di ‘grande’ pubblico è evidente quanto quest’ultimo sia abituato ad un certo tipo di produzioni (e proporzioni) in materia. Un archetipo a cui difficilmente puoi pensare di avvicinarti se hai a disposizione un budget di ‘soli’ 45 milioni di dollari come quello di Bloodshot, a meno che la tua non sia una storia minimalista particolarmente ispirata e/o tu non abbia tra le mani una combinazione magica di direzione e scrittura. Entrambe ipotesi che non fanno al caso di Bloodshot, in quella che è fondamentalmente una origin story d’azione e vendetta, così come il manico non è propriamente di quelli che restano impressi.

BLOODSHOT

È una bocciatura? No. Almeno per me, che del cinema d’azione sono una buona forchetta e della Famiglia sono un adepto. È un onesto action movie a sfondo fantascientifico, costruito sulle spalle di Vin Diesel. Magari imperfetto, sicuramente godibile e scorrevole, con i suoi buoni momenti. Ma di bocciature ne riceverà. Per il modo in cui non cerca di elevarsi, non lascia il segno, in un periodo in cui la concorrenza ha raggiunto livelli decisamente più alti – non solo Marvel, ma proprio il livello generale di certe produzioni action, da John Wick allo stesso Fast & Furious per restare in ambito Diesel.

La storia d’origine, dicevamo, si basa su una formula piuttosto semplice fatta di inganno, manipolazione e vendetta utili a veicolare una sufficiente dose d’azione. Lo script fa perno su un twist (intuibile o meno lo lascio dire a voi) che arriva dopo 45 minuti e capovolge completamente la prospettiva, vengono a galla menzogne, i buoni diventano cattivi e quello che abbiamo visto fino a quel momento assume un significato diverso. In questo senso, quelli che sembravano i maggiori difetti di scrittura del primo atto si rivelano espedienti voluti e mirati ad agganciare il colpo di scena, come fossero indizi utili a smascherarlo. Penso, ad esempio, al modo troppo repentino con cui Ray/Bloodshot si abitua alla sua nuova condizione o acquista consapevolezza delle proprie capacità potenziate – e solo dopo capisci che per lui non è la prima volta, in un suo personalissimo “Groundhog Day”. Oppure al prologo ambientato ad Amalfi, con lo squilibrato (Toby Kebbell) vestito in maniera discutibile (la combo pantofole/calzini di spugna bianchi è letale) che compie violenze ballando sulle note di Psycho Killer, un insieme di cliché su cui successivamente saranno gli stessi personaggi a (meta)ironizzare. Quello che (realmente) manca è una profondità di caratterizzazione dei protagonisti, a cominciare da Ray/Bloodshot sul cui passato sappiamo poco o nulla – forse perché ‘non serve passato per creare il futuro’ per citare una delle battute del film, passando per il Dr. Hemil canonico villain bidimensionale che non sviscera le motivazioni del suo operato.

BLOODSHOT

Il film segna l’esordio alla regia di un lungometraggio per Dave Wilson. Il neoregista ha un background (in vari ruoli) nel campo degli effetti visivi, un percorso formativo che influisce sulla sua impostazione registica. È evidente quanto il suo focus sia puntato sulle sequenze graficamente sofisticate, che tra l’altro mostrano una CGI di buona realizzazione, specie in relazione al già citato budget – forse andava rivisto l’effetto dei naniti che dissolvono il volto, ma non è un difetto insormontabile. Un aspetto che porta Wilson a concentrarsi meno sull’azione ‘reale’. Ma non in termini di quantità, tutto sommato accettabile, il film ha una buona dose action e non potrebbe essere altrimenti. E potrei citare almeno tre o quattro scene degne d’attenzione, dalla scazzottata nel bagno all’agguato (infarinato) in galleria, o lo scontro finale con annessa caduta libera. Quello che forse manca è la ricerca del cosiddetto next level che oggigiorno contraddistingue gli action di ampia portata. Per farla breve (e rendere meglio l’idea) faccio prima a menzionare una sliding door che in questo senso poteva fare la differenza; prima di Wilson, erano stati presi in considerazione sia David Leitch che Chad Stahelski, due nomi che identificano bene l’action occidentale contemporaneo, per il quale hanno rappresentato una ventata d’aria fresca, una vera e propria manna dal cielo. Beh, immaginate cosa poteva uscirne nelle mani di uno dei due e arriverete al dunque del mio discorso.

BLOODSHOT

Nulla da ridire, invece, sulla performance di Vin Diesel, il personaggio è delineato in modo da aderire alle sue caratteristiche. Ray ha animo, coraggio e forza bruta. Vin ci mette la consueta passione, è uno che sposa in pieno i progetti a cui prende parte (a prescindere dagli esiti), si lancia nel vivo l’azione sporcandosi le mani in prima persona. La parte gli viene cucita addosso, persino nell’outfit smanicato tanto caro all’attore che in una scena sfoggia pure l’immancabile canotta bianca che fa tanto Dom Toretto – con la distribuzione italiana che si fa prendere la mano, assegnando a Gina (la moglie di Ray) la stessa doppiatrice di Letty/Michelle Rodriguez in Fast & Furious. Guy Pearce non deve fare grossa fatica per un ruolo piuttosto standardizzato come quello dello scienziato che diventa il cattivone per soldi e manie di grandezza, per il quale era stato precedentemente sondato Michael Sheen che ha dovuto rinunciare a causa di impegni sovrapposti. Bene la squadra di Bloodshot – il concetto del team sembra essere una costante per Vin Diesel (non solo F&F, vedi anche l’ultimo xXx), la sensuale e combattiva Eiza Gonzàlez gli offre supporto emotivo nei panni di KT, mentre il simpatico Lamorne Morris si accolla la quota ironia col personaggio di Wigans.

BLOODSHOT

Nel breve tempo in sala, Bloodshot ha raggiunto un incasso globale di quasi 30 milioni di dollari (di cui 10 negli Stati Uniti). Le somme si tireranno alla fine della corsa VOD ed home video, per poter capire se (e quanto) il film abbia retto l’impatto di questo momento particolare. E magari evitare di dargli più responsabilità di quante non ne abbia realmente avute. Anche perché, a questo punto, sarei curioso di conoscere le sorti del Valiant Universe, nell’ottica di ulteriori espansioni che possano mostrarci il potenziale cinematografico di una scuderia con ambizioni da outsider.

Francesco Chello

PRO CONTRO
  • Godibile e scorrevole.
  • L’affidabilità (ed i cazzotti) di Vin Diesel.
  • L’idea e la voglia di inaugurare un piccolo nuovo multiverso.
  • Scrittura superficiale.
  • L’azione c’è ma non cerca il ‘next level’.
  • Villain poco incisivi.
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Bloodshot, la recensione, 6.0 out of 10 based on 1 rating

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