Cobweb, la recensione

Raccontare la famiglia e l’infanzia in chiave horror è diventata un’impresa così probante e impegnativa per i registi del genere al punto che sembra quasi obbligatorio, per quest’ultimi, svestire i panni degli artisti per indossare quelli di psicologi, psichiatri o esperti di qualsiasi scienza affine alla mente umana. La diretta conseguenza di ciò consiste nel fatto che sia il pubblico sia gli stessi autori hanno ormai sviluppato un gusto eccessivamente sofisticato ed ermetico nel giudicare e raccontare storie che vedono come protagoniste famiglie sinistre e disunite, composte da genitori ossessivi e bambini con difficoltà affettive e di relazionarsi col mondo esterno. Tutto ciò, però, ha fatto perdere di vista quella che deve essere la prerogativa principe del cinema horror, ovvero quella di abbinare una varietà di contenuti ad una linearità e immediatezza di fondo che ne contraddistingue tutti capolavori.

La semplicità e, soprattutto, la conoscenza del genere, paga sempre e la dimostrazione di ciò è fornita da ottimi recenti film come Son di Ivan Kavanagh, Babadook di Jennifer Kent e altri lavori simili che hanno saputo creare il giusto equilibrio tra le velleità di analisi psicologiche e sociologiche e la propensione a incutere terrore e giocare con gli archetipi del genere.

Un altro esempio del giusto compromesso di cui sopra proviene da Samuel Bodin, il quale firma il suo esordio alla regia di un lungometraggio con Cobweb, opera brillante che racconta le disavventure di un bambino minacciato da pericoli provenienti dalle viscere delle mura domestiche, e non solo. Una ghost story alla quale l’autore statunitense, con alle spalle esperienze nel campo dei videoclip musicali e serie tv, riesce a infondere una veste accattivante per merito della sua dimestichezza nel creare scene di tensione e suspense e di una sceneggiatura, scritta da Chris Thomas Devlin, capace di creare un meccanismo ambiguo che prima coinvolge emotivamente lo spettatore e poi lo spiazza.

Peter è un ragazzino la cui prima adolescenza è resa avara di gioie e spensieratezza da due genitori rigidi e opprimenti, che gli impediscono persino di uscire la notte di Halloween con i suoi coetanei, e da compagni di classe che lo bullizzano. Le uniche ancore di salvataggio sono rappresentate dalla dolce e attenta maestra supplente Miss Devine e una misteriosa voce, proviene dalla parete della sua stanzetta, che si pone come amica. Il piccolo non sa, però, che quella voce gli presenta una realtà artefatta e lo trascinerà in un incubo senza fine.

Al termine della visione di Cobweb, la sensazione preponderante che pervade lo spettatore è la soddisfazione di aver assistito ad un film complesso per argomenti trattati, sviluppati però in una maniera schietta e diretta che ne facilita la fruizione e l’efficacia sotto ogni punto di vista. La storia portata in scena da Bodin, come detto, è incentrata su un bambino maltrattato dai genitori, deriso e bullizzato a scuola e attirato da una voce sinistra e poco rassicurante che, però, riesce a tirargli fuori la voglia di reagire e di volersi bene, obiettivi in cui non riescono i suoi genitori.

L’opera intera, dunque, si focalizza sul rischio che il vuoto affettivo e il disagio interiore di un ragazzino possano generare mostri, instillare in un’anima fragile e debole false speranze di rivalsa e una rabbia espressa nel modo sbagliato, con effetti tragici e devastanti. Non è un caso, quindi, che Bodin ricorra a svariati luoghi comuni dell’infanzia per descrivere il percorso emotivo di Peter: la paura di essere chiuso in cantina da mamma e papà, il terrore dei fantasmi che si palesano di notte e, per finire, il legame affettivo con la dolce maestra Devine, unica vera figura materna e positiva del film. La bravura dell’autore statunitense, tuttavia, sta nella capacità di non perdersi in lungaggini, di non avventurarsi in improbabili analisti psicologiche e spiegoni soporiferi, ma di mettere in piedi un plot dal ritmo pimpante, con qualche colpo di scena, seppur telefonato e prevedibile, e impreziosito da scene ricche di tensione e pathos.

Tutto questo per rafforzare l’idea che Cobweb non dimentica e non rinnega la sua natura di film horror e non disdegna i super abusati jumpscare, scricchiolii di pavimento e un finale in cui riecheggiano le influenze dei J-horror e di altri titoli recenti come Rec e La Madre, sia per la messa in scena che per l’aspetto davvero efficace del boogeyman del film. Una frazione di film, questa, che se da un lato regala allo spettatore azione e la giusta dose di sangue e violenza, dall’altro stona in parte con una prima ora nella quale Bodin aveva trovato il giusto equilibrio tra il racconto di un drammatico spaccato famigliare e dinamiche orrorifiche ben realizzate.

Cobweb, in conclusione, resta un film fortemente consigliato ad un pubblico variegato e che ci riconcilia con un cinema genuino e diretto, ma non per questo piatto e arido per quanto riguarda velleità e aspirazioni narrative.

Vincenzo de Divitiis

PRO CONTRO
  • Il boogeyman ha davvero un aspetto inquietante.
  • La semplicità e la linearità con cui viene raccontata una storia complessa e per nulla banale.
  • Sequenze di paura ben costruite e realizzate con una mano sicura e sapiente.
  • Il finale in parte stona con lo spirito della prima ora di film.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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