Family Dinner, la recensione

Cucine da incubo è il titolo di un famoso format televisivo, condotto dallo chef Antonino Cannavacciuolo, nel quale vengono mostrati ristoranti al limite del baratro che vengono risollevati grazie ai consigli del famoso cuoco. Lo stesso titolo, tuttavia, può essere adattato per descrivere la nuova tendenza del cinema horror che, in ossequio alla sua capacità di stare al passo con i gusti e le mode del momento, ha saputo far suo il rinnovato generale interesse di stampo quasi voyeuristico per la cucina, servendosene come strumento di critica della società che ci circonda. Sono tantissimi, infatti, i titoli che negli ultimi tempi hanno offerto interessanti spunti di riflessione sugli eccessi e l’inutile sfarzo di nobili viziati, sui canoni estetici legati al culto del corpo e sulla pressoché militaresca costanza e ossessione nel seguire uno stile di alimentazione sano sì, ma anche del tutto privo di quelle gioie che la buona tavola sa riversare.

Ciò che rende ancora più gustoso e saporito questo mini filone del genere horror è il fatto che la maggior parte dei film ad esso legati sono di ottima fattura, basti citare Fresh di Mimi Cave, l’acclamato The Menu di Mark Mylod e l’iberico Piggy di Carlota Pereda: tutti lavori la cui prerogativa è quella di saper conciliare la profondità di contenuti e di richiami metaforici con la capacità di raccontare storie spaventose, dai ritmi vibranti e dal buon tasso anche di violenza e sangue. Insomma, film dell’orrore in piena regola.

Un gradino sotto i titoli appena citati si colloca Family Dinner, film d’esordio di Peter Hengl, che, pur ripercorrendo la strada tracciata dai suoi predecessori, convince solo in parte poiché colpisce nel segno per quanto riguarda varietà di contenuti e la vena fortemente critica, ma non ottiene lo stesso risultato quando si tratta di inquadrare queste idee in una storia capace di coinvolgere e spaventare. Un battesimo alla regia che per l’autore austriaco ha il sapore agrodolce di un’occasione non sfruttata appieno.

Decisa a perdere i tantissimi chili di troppo per stare bene con sé stesa e piacere agli altri, Simi fa visita alla zia Claudia, nutrizionista di successo e famosa per la pubblicazione di libri molto apprezzati, per chiederle aiuto per raggiungere il suo obiettivo. Ben presto, però, l’adolescente scopre che dietro la rettitudine alimentare della zia e l’immagine chiara e pulita della sua famiglia salutista, si cela un quadro diabolico, fatto di ossessioni, violenza e bugie, che trascina la povera Simi in un vortice di paura e terrore dal quale sarà molto difficile venirne fuori.

Prendendo come riferimento i modelli di cui sopra, Hengl trae spunto da uno dei momenti più sacri per una famiglia, il pranzo di Pasqua e l’attesa della settima santa, per scalfire dall’interno tutte le certezze legate a questa istituzione e ridicolizzare tutti i dogmi della buona alimentazione e del mangiare sano per sentirsi meglio con sé stesso e offrire un’immagine migliore del proprio corpo.

Per riuscire in tale impresa il regista austriaco si serve di una sceneggiatura, di cui egli stesso è autore, il cui punto di forza è la caratterizzazione di personaggi, i quali si rivelano molto diversi da quello che sembrano inizialmente e sono pervasi da un’ipocrisia di fondo che lascia sia lo spettatore che la stessa Simi senza grossi punti di riferimento e con un profondo senso di inquietudine. Un piccolo universo di persone che trova la propria sublimazione nella figura della zia Claudia, la cui ferrea educazione alimentare nasconde una disciplina militaresca e un piano malefico che definire terribile è poco; abbiamo poi suo marito Stefan che, al contrario, cerca di entrare nelle grazie di Simi con atteggiamenti amichevoli, alternati ad altri che accendono nella protagonista più di qualche spia d’allarme; vi è, infine, il piccolo Filipp il quale è la classica figura rivelatrice che cerca di sparigliare le carte.

Tutte pedine ambigue ed inquietanti che si muovono all’interno di spazi interni ben sfruttati e opprimenti, valorizzati da una fotografia espressionista, caratterizzata da colori irreali e dalle tonalità sempre decise, e da estemporanee incursioni nel mondo onirico che rendono il tutto ancor più disorientante e disturbante.

Ma se queste qualità contribuiscono a fornire a Family Dinner l’aspetto di un buffet invitante e ben presentato, il lavoro di Hengl perde valore e consistenza quando il pasto entra nel vivo e con il passare dei minuti la storia sembra girare a vuoto, si arrovella su sé stessa, senza arrivare ad un punto di svolta e assumere un ritmo che renda il plot avvincente. A tutto questo, poi, va aggiunto il difetto non da poco di non riuscire quasi mai a piazzare scene di tensione efficaci e, soprattutto, nel finale la trama si incanala su binali già visti e scontati per i più.

Family Dinner, in conclusione, è come un piatto di cucina “alta”, molto bello da vedere, con tanti ingredienti di qualità e idee brillanti dietro la sua preparazione, ma non sempre capace di accontentare i palati più esigenti e risultare gustoso e saporito.

Family Dinner è disponibile su mercato italiano in DVD edito da Blue Swan Entertainment.

Vincenzo de Divitiis

PRO CONTRO
  • La sceneggiatura presenta idee interessanti e una sagace critica alla famiglia e ai dogmi della “buona” alimentazione.
  • I personaggi sono ben scritti e approfonditi.
  • Atmosfere inquietanti e spazi interni ben sfruttati.
  • Con il passare dei minuti il plot manca di ritmo.
  • Le scene di tensione e paura si contano sulle dite di una mano e sono poco efficaci.
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