FEFF22. The Closet, la recensione

Sang-won e sua figlia In-a si trasferiscono in una nuova grande casa immersa nel verde. Nel passato dei due c’è un tragico evento che ha portato via la moglie a Sang-won e la madre a In-a, lasciando entrambi come svuotati. Presa famigliarità con la nuova casa, In-a è attratta dall’enorme e vecchio armadio che è nella sua stanza e dice a suo padre che lì dentro vive una bambina che è diventata sua amica. Un giorno In-a scompare nel nulla. Disperato, Sang-won viene avvicinato da Kyung-hoon un esperto di paranormale che dice di sapere dove è finita la bambina. Inizialmente scettico, Sang-won si lascia convincere dall’uomo a indagare sulla scomparsa di In-a.

C’era un tempo in cui a un grande successo cinematografico americano spesso arrivava, in risposta, una piccola produzione italiana che tentava di replicarne tematiche, argomenti, personaggi e spesso titoli… e gran parte delle volte, queste operazioni riguardavano il cinema di genere, horror e fantascienza in particolare. Oggi questo tentativo di “rifare” senza ufficialità un successo a stelle e strisce spetta alla Corea del Sud che, con qualche anno di ritardo, si è imbarcata nel progetto “Insidious dall’Estremo Oriente”. The Closet, infatti, è spudoratamente un rip-off del successo di James Wan, che l’esordiente Kim Kwang-bin ricalca in ogni sua componente, tanto narrativa quanto estetica. Il risultato lascia un po’ a desiderare perché si patisce quella voglia di imitazione e un po’ ci si arrabbia per le potenzialità gettate in fumo, dal momento che il regista sudcoreano ha chiaramente un’ottima mano.

Il primo atto di The Closet si aggrappa a tutti i cliché che il genere impone, a cominciare dalla famiglia che si trasferisce nella nuova casa, rigorosamente grande, fatiscente e immersa nel nulla. Metti poi che quella casa è stata teatro di una vicenda luttuosa, che la nuova famiglia ha una recente tragedia alle spalle e il quadro è completo. Da questo momento, provate a immaginare cosa può accadere: rumori sinistri? Si, ci sono. Apparizioni spettrali? Poche ma ci sono. La bambina che dice di avere un amico immaginario che noi sappiamo non essere proprio amico? Ovviamente c’è. Una serie di elementi che portano direttamente alla fine del primo atto con la scomparsa della bambina, in perfetto stile Poltergeist – Demoniache presenze, che era anche la diretta e dichiarata fonte di ispirazione per James Wan per il suo Insidious.

La parte più gustosa di The Closet arriva nel secondo atto, quando il protagonista si trova completamente inerme davanti agli eventi che gli si presentano e la polizia comincia anche a sospettare che possa aver fatto lui del male a In-a. Questo è il frangente più ispirato del film perché mette l’uomo faccia a faccia con il suo scetticismo, con la difficoltà nel credere a quello che considera ovviamente un ciarlatano e le varie dimostrazioni che quest’ultimo dà al protagonista per renderlo partecipe della dimensione soprannaturale nascosta agli esseri umani. Si viene a creare una dinamica tra i due vicina a quella di un buddy-movie senza però sfociare mai nel grottesco ne nell’ironia, si nota un affiatamento che porta direttamente al terzo e ultimo atto, inaugurato da una scena horror nella stanza della bambina molto riuscita e anche originale per come è stata architettata e coreografata.

L’epilogo è Insidious al 100%, con tanto di viaggio nell’Altrove (che qui non si chiama, ovviamente, così) per recuperare la bambina e un look che richiama davvero molto il film di Wan, solo con un utilizzo più grossolano dell’effettistica digitale.

Kim Kwang-bin dimostra di avere un buon gusto per le scene più movimentate (un futuro film action non glielo si piò proprio negare!) e una discreta tenuta della tensione; perfino lo script, di cui si è occupato lo stesso regista insieme a Kwon Seong-hui, presenta dei buoni momenti di approfondimento sui legami famigliari, soprattutto con il procedere degli eventi, che si intrecciano nel vissuto personale tanto del protagonista quanto nell’esperto di paranormale. Il limite di The Closet è tutto lì: si tratta di un prodotto di imitazione che per risultare il più commerciale possibile racchiude stancamente tutti ma proprio tutti i cliché del genere, stimolando inevitabilmente lo sbadiglio.

The Closet è stato presentato in premiere internazionale nel corso dell’edizione 2020 del Far East Film Festival.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Per essere un’opera prima, il regista dimostra di avere un’ottima dimestichezza con il genere.
  • Una parte centrale ritmata e con buone scene di tensione.
  • È la copia sudcoreana di Insidious.
  • Ci sono troppi chiché tutti concentrati insieme.
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