Figli, la recensione
Sara e Nicola sono una coppia come tante. Vivono e lavorano nel quartiere Testaccio di Roma, sono sposati e innamorati e hanno una bambina di sei anni, Anna. Qualche bisticcio ogni tanto, come accade a tutti, ma possono tranquillamente definirsi una coppia felice. Tutto cambia drasticamente con l’arrivo del secondo figlio, Pietro, un bebè pronto a sconvolgere l’equilibrio della coppia e della famiglia. Tra pianti a tutte le ore del giorno, nonni che non hanno nessuna intenzione di collaborare, amici che deprimono anziché incoraggiare e baby-sitter improbabili…Sara e Nicola si preparano a vivere la prima, vera, grande sfida della loro vita. Riusciranno a tenere saldo il loro matrimonio?
Tanti anni di cinema – e di evoluzione umana – ci hanno insegnato che può essere molto divertente fare ironia attorno al delicato tema della depressione post-partum. Per ancorarci ad uno degli esempi più vicini a noi, infatti, possiamo ricordare il bellissimo Tully di Jason Reitman (2018) che pur avvicinando maggiormente i toni del dramma rispetto a quelli della commedia riusciva a riflettere, in modo intelligente ma anche “leggero”, su quanto possa essere dura la condizione di una donna/moglie/mamma subito dopo aver dato alla luce un figlio.
L’intento di Figli è molto vicino a quello del film di Reitman, con la variante che questa volta siamo nel campo della commedia pura e la “depressione post-partum” viene estesa a tutto il nucleo familiare, senza fare sconti a nessuno.
Come recita il manifesto, Figli è “un film di Mattia Torre” diretto però da Giuseppe Bonito. Questo è lo slogan sul quale sta reggendo buona parte della promozione del film, uno slogan molto triste perché l’opera diretta da Giuseppe Bonito (qui alla sua seconda regia dopo Pulce non c’è) e tratta dal monologo teatrale I figli invecchiano di Mattia Torre che doveva vedere luce proprio sotto la regia di quest’ultimo.
Mattia Torre infatti, brillante commediografo che ricordiamo per aver creato assieme a Luca Vendruscolo e Giacomo Ciarrapico la serie tv Boris, avrebbe dovuto dirigere Figli se non fosse scomparso prematuramente la scorsa estate, poco prima dell’inizio delle riprese. Al suo posto è subentrato Giuseppe Bonito, scelto proprio dallo stesso Torre come successore quando si sono aggravate le sue condizioni fisiche, a cui spetta l’arduo compito di portare a compimento quel “disegno” iniziato dal collega/amico scomparso con la speranza di riuscire a destreggiarsi all’interno di quell’immaginario comico/surreale a cui Mattia Torre ha saputo abituarci negli anni.
Ciò che colpisce in modo preponderante durante la visione di Figli è proprio lo stile tipico di Torre che, pur non avendo firmato la regia del film, rimane inalterato e incontaminato grazie al mestiere di Giuseppe Bonito, che si avvicina al progetto con enorme ossequiosità nei confronti dell’autore del monologo originale e del film.
Il mondo in cui Torre e Bonito ci conducono, dunque, non è molto dissimile dal tanto amato set di Boris, un luogo sospeso tra il fisico e il metafisico in cui tutto può accadere grazie ad un umorismo imperante sorretto sempre da una massiccia dose di surrealismo. La suddivisione in capitoli, dunque, diventa lo strumento narrativo perfetto per scandire le tappe di questo “martirio” genitoriale che coinvolge gi sprovveduti Sara e Nicola, convinti di saper fare i genitori (hanno tirato su già una figlia) ma ignari del fatto che un secondo figlio cambia mostruosamente ogni cosa.
Con un linguaggio ed una messa in scena abbastanza moderni e con più di qualche battuta ben piazzata al momento giusto, Figli è una commedia che si distingue dalla massa per la capacità di giocare contemporaneamente su diversi piani narrativi mescolando abilmente e frequentemente la realtà con l’immaginazione, elementi concreti ad improvvise esplosioni surreali. Tutto questo porta la commedia ad avere una personalità piuttosto definita, riuscendo persino ad osare lì dove molti, forse, non si sarebbero spinti e qui diventa obbligatorio citare il grottesco scontro verbale tra Sara e sua madre, due generazioni a confronto che poco si sopportano.
Eppure Figli non è un prodotto vincente su tutta la linea. No, niente affatto. Perché dietro questo stile espressivo interessante e qualche momento che davvero riesce a suscitare ilarità, l’opera di Bonito nasconde più di qualche “falla” e, ironia della sorte, tutte restituiteci proprio dalla sceneggiatura di Mattia Torre.
Si resta un po’ interdetti davanti ad un film che, nonostante lo stile comico adottato e la modernità di cui si è detto, si perde poi nel restituire allo spettatore un ritratto della “famiglia comune” decisamente vecchio. Il film abbonda di tanti cliché di cui si poteva, anzi si doveva, fare a meno poiché incapaci di riflettere la reale condizione sociale odierna della famiglia. Nella visione di Mattia Torre la donna è quella che di fatto porta avanti la famiglia riuscendo a rendere possibile l’impossibile mentre l’uomo sta lì, collabora come può ed è pronto a sentirsi un vero supereroe (non è una metafora di chi scrive) solo per essere riuscito a far mangiare i bambini e metterli a letto una sera. Un ritratto dell’uomo e della donna, del padre e della madre, probabilmente divertente ma ormai vetusto e superato.
Ma il secondo vero problema fornitoci dalla sceneggiatura, troppo oggettivo per essere opinabile, è la gestione dei tempi narrativi affidati ad una ripetizione eccessiva degli eventi. Figli, stringi e stringi, finisce per essere un semplice susseguirsi di sketch che hanno la risata come fine ultimo da perseguire.
Una costruzione troppo ciclica, con una situazione comica dietro l’altra che dopo un po’ finisce inevitabilmente per stancare. Anche perché, nel desiderio di ancorarsi a questa schematica struttura ad episodi, si finisce per venire meno alla costruzione dei due protagonisti della vicenda. Sara e Nicola sono due personaggi fermi nella loro caratterizzazione di partenza, non hanno una reale crescita nel corso della storia e nessuno sviluppo ulteriore rispetto a quanto ci viene dichiarato sin dall’introduzione. Questo conduce il film verso una sostanziale “piattezza” narrativa in cui, nella spasmodica ricerca della “risata intelligente”, si finisce per trascurare proprio i due beniamini della vicenda.
Il cast è sicuramente un punto forte del film. I due protagonisti, i coniugi in crisi, hanno il volto di Valerio Mastandrea e Paolo Cortellesi. Un’inaspettata ottima coppia cinematografica, molto affiatata e perfettamente in sinergia, ben equilibrata ma in cui, tuttavia, è Mastandrea ad emergere in modo incontrastato dimostrando ancora una volta d’essere un attore di talento capace di apparire credibile tanto nei ruoli seriosi che in quelli dichiaratamente comici. Di livello appare anche il cast di supporto tra i quali primeggia un sempre divertente Stefano Fresi al quale si affiancano (in piccoli e piccolissimi ruoli) Valerio Aprea, Paolo Calabresi, Andrea Sartoretti e Gianfelice Imparato.
Figli è dunque il tentativo – riuscito solo in parte – di ridere e sdrammatizzare su quanto possa essere complicato, oggi, mettere su famiglia e avere figli (rigorosamente al plurale). Una commedia particolarmente ricercata, nel linguaggio e nell’umorismo, che purtroppo cade vittima di una scrittura ridondante e qualche cliché di troppo.
Giuliano Giacomelli
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