Intervista a Mitzi Peirone, la regista di Chimera (Braid)

Ha lavorato come modella a New York prima di esordire, all’età di 26 anni, alla regia di un lungometraggio, Chimera (Braid). È Mitzi Peirone, nata a Torino e ora lanciatissima regista negli Stati Uniti, dove ha visto avverare il suo sogno di lavorare nel mondo del cinema grazie a una forma sperimentale di crowdfunding con i bitcoins, che le hanno consentito di dar vita a un thriller psicologico che ha debuttato con successo al Tribeca Film Festival 2018. Ora Chimera (Braid) è disponibile anche in Italia grazie a Blue Swan Entertainment (qui la nostra recensione del film) e noi abbiamo scambiato due chiacchiere con Mitzi Peirone per scoprire i retroscena di un esordio cinematografico molto particolare.

Ho passato i miei primi 20 anni nella speranza di fare il mio primo film anche se stavo cercando di capire cosa fare nella mia vita.

Ci racconta Mitzi Peirone in collegamento zoom dal suo appartamento di New York.

Mi hanno messo di fronte a un bivio: se preferissi fare sempre la stessa cosa ogni giorno della mia vita oppure vivere in uno stato di incertezza costante. La mia anima funziona più in questo secondo modo e così ho scelto questo percorso nel mondo del cinema. Essere donna e immigrata (italiana negli Stati Uniti, ndr) non mi ha scoraggiato e ho cercato di nutrire lo stato delle cose proprio dalle difficoltà. Non temo questo momento che l’industria cinematografica sta attraversando a causa del covid, sono sicura che sarà in grado di adattarsi.

Braid è stato realizzato grazie a un sistema innovativo di crowdfunding che sfrutta la cripto-valuta, Mitzi Peirone ne ha parlato.

Non avevo i contatti giusti per iniziare una carriera nel mondo del cinema, mi sono guardata attorno e mi sono resa conto che in quel periodo, 2012-2013, tutti utilizzavano le piattaforme di crowdfunding tipo Indiegogo e Kirkstarter. Però a me sembrava molto strano che l’industria dell’indipendente avesse solo questi metodi che io percepivo come una forma di “carità”. Nel 2016 ho conosciuto il CEO di una bank-company che mi ha spiegato cosa fossero i bitcoin e mi sembrava la risposta vera alle esigenze di Hollywood! L’unica cosa da fare è offrire un ritorno, mi sono data due settimane dall’inizio della raccolta fondi, ho fatto diversi meeting e ho offerto un ritorno del 30%, così ho praticamente trasformato il film in un vero e proprio investimento. Abbiamo raggiunto 1 milione e 700mila dollari a cui si è aggiunta una percentuale data dal governo newyorkese a sostegno delle produzioni cinematografiche. E così è nata l’avventura produttiva di Braid.

Chimera Braid

Poi abbiamo chiesto a Mitzi da dove nascono i bizzarri personaggi che popolano il suo film.

Sono tre parti di me stessa, ogni giorno mi sveglio e sono una persona diversa. Daphne vuole il controllo della situazione, il suo ruolo è di essere madre e combatte più delle altre, ma allo stesso tempo esiste in funzione di altri che hanno bisogno di lei. Tilda è l’eterna bambina, nega ogni responsabilità. Petula invece è il Dottore, vuole essere rispettata e ammirata, è l’autorità. Sono dunque tre aspetti di una sola persona, l’esemplificazione del mondo in cui viviamo: si vuole il massimo controllo su tutto, ma allo stesso tempo non si vogliono responsabilità. Quella che ho descritto è comunque una relazione di famiglia, sicuramente tossica, perché loro preferiscono questa relazione malata piuttosto che affrontare l’incertezza di ciò che c’è fuori su come vivere la realtà. È una prigione psicologica che ci permette di non perdere il contatto con cosa ci fa stare bene.

Mitzi Peirone ha poi spiegato in che modo ha gestito, a livello registico e produttivo, la sua prima prova dietro la macchina da presa.

Tutto è stato pianificato nel minimo dettaglio, essendo stato realizzato con un basso budget, a volte c’erano difficoltà che non avremmo mai potuto immaginare, come far arrivare l’acqua al terzo piano, dettagli che andavano studiati fino al millesimo. Oppure, semplicemente, dosare il sangue finto, che in realtà costa molto, quindi tutto andava centellinato e non potevamo permetterci di improvvisare. Io, per fortuna, avevo idee chiare dal punto di vista estetico e della regia e il direttore della fotografia ha compreso subito il mio gusto. Quindi la pre-produzione è stata molto importante e passavo tante ore ogni giorno col costumista, col direttore di fotografia, con lo scenografo, con l’assistente alla regia e coi produttori per fare in modo che tutto filasse liscio e coincidesse ogni cosa una volta che saremmo stati sul set.

Chimera Braid

Proprio riguardo alle varie maestranze che hanno lavorato dietro le quinte di Chimera, abbiamo chiesto a Mitzi di raccontarci come si è svolto il lavoro sui colori.

Volevo creare qualcosa di fiabesco e cerebrale, con i colori ben in evidenza perché nel film viviamo una dimensione a metà tra il sogno e il ricordo. Quando Tilda assume droghe, il colore alterato non è la conseguenza di questo ma una sorta di trauma che riemerge, come in una tragedia greca, il colore della natura prende forma e diventa parte integrante del suo stato d’animo. L’utilizzo del bianco e nero è stato criticato da molti perché ritenuto come una scelta eccessiva, però io volevo che i momenti di shock fossero in bianco e nero pronti a sottolineare il momento in cui i personaggi si rendono conto di cosa sta succedendo, come quando si sta sognando e a un certo punto ci si rende conto che tutto è un sogno.

Invece, riguardo la colonna sonora.

Secondo me c’è una vera e proprio connessione tra la musica elettronica e la musica classica. A differenza della musica pop che ti martella finché ti entra in testa, la musica elettronica fa un percorso differente: se oggi Mozart fosse vivo farebbe musica elettronica. Poi la musica elettronica e la musica classica andavano d’accordo con i ritmi e i temi del film. Il Barbiere di Siviglia e il Don Giovanni appartengono alla mia infanzia e il compositore Michael Gatt ha scelto la musica elettronica da contrapporre alla classica per accostare due cose che sembrano in antitesi.

Chimera Braid

Sulla location…

Ho passato la mia infanzia nella casa della nonna, che si chiamava Mitzi come me; lei ci faceva giocare sempre, ci faceva travestire, stimolava la nostra immaginazione e io le devo tantissimo. Il film è ambientato in una casa decadente che somiglia tanto a quella della mia nonna e per la scenografia mi sono ispirata anche a un vecchio film con Laurence Olivier (Gli insospettabili, ndr), qualcosa di spettrale e allo stesso tempo fiabesco. Abbiamo visto molte case che erano o troppo barocche o troppo normali finché abbiamo trovato questa villa sopra New York dove hanno girato I Tenenbaum di Wes Anderson. Il bagno dove Petula si fa la barba è lo stesso in cui il personaggio si taglia le vene nel film di Anderson e la vasca è la stessa in cui Margot si sdraia con la pelliccia e la sigaretta.

In Chimera si pone molta attenzione sul “gioco” che le ospiti devono fare con Daphne, la padrona di casa, una sorta di gioco di ruolo.

Come hanno detto Pirandello e Platone, ma anche Shakespeare e Matrix: ognuno di noi ha dentro più persone e lo scopo della vita è proprio quello di capire l’essenza della nostra anima. I bambini che giocano lo fanno senza che nessuno dica niente e noi siamo come loro, facciamo i giochi da adulti in cui continuiamo a interpretare dei ruoli, l’immaginazione è il motore dell’universo e delle nostre vite. La realtà è come la percepiamo noi, i ricordi sono come li abbiamo vissuti. Il gioco di ruolo inizia da bambini e non finisce mai, poi ci sono i momenti in bianco e nero in cui ci si ferma un attimo a riflettere su cosa stiamo facendo e perché. Per cui l’idea della finzione, di credere in una realtà inventata, alla fine è la realtà stessa. Qualunque cosa in cui crediamo, tranne la scienza, è stata inventata.

Braid

Una questione che ci ha particolarmente incuriosito in Chimera è la ricorrenza della “treccia” che, oltre ad essere il titolo originale del film (Braid) ricorre in una scena di tortura nel film e nella presenza di tre protagonisti, come i ciuffi di capelli utili a dar vita a una treccia…

C’è una base freudiana in Chimera e le protagoniste è come se fossero tre parti di una sola persona: Io, Es, Super-Io. Sono partita proprio da questa tripartizione per sviluppare le tre personalità. Inoltre, il padre dell’ipnotismo si chiamava James Braid, che per primo aveva teorizzato di curare le psicosi con l’ipnosi. Un mondo, quello dell’ipnosi, che io trovo molto affascinante. Braid, treccia, come tre ragazze intrecciate.

Concludiamo la nostra chiacchierata con Mitzi Peirone scoprendo qualcosa sui suoi progetti futuri.

Amo il cinema di genere, l’horror psicologico, di recente il mio preferito è stato Hereditary di Ari Aster mentre tra i film italiani di genere ho adorato Suspiria di Luca Guadagnino pur considerando il film di Dario Argento un vero capolavoro. La fantascienza mi intriga perché mi consente di parlare di temi contemporanei liberamente e spaziando con la fantasia. Infatti, ho scritto un film di fantascienza ambientato nel 2091 in cui c’è un chip nel cervello che permette di gestire le emozioni, una società apparentemente perfetta che nasconde nel sottosuolo una comunità composta da “immigrati climatici”. Ho deciso di trattare argomenti che mi spaventano e su cui sono particolarmente sensibile, quindi cambiamento climatico e immigrazione. Il titolo provvisorio del film è Ultramundus. Sto sviluppando anche una serie tv, che si chiama The Human Overdose, anche questa di fantascienza con un mondo senza risorse in cui soltanto l’1% della popolazione può procreare e a 70 anni si viene espulsi nel deserto.

A cura di Roberto Giacomelli

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