Suspiria, la recensione
Presentato in concorso alla 75esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il Suspiria di Luca Guadagnino esce finalmente allo scoperto dopo un’attesa lunga quasi più di un anno. A precederlo c’è ovviamente il notevole successo riscosso dal precedente Chiamami col tuo nome, ma anche una certa diffidenza (non del tutto ingiustificata) da una parte dei devoti all’originale di Dario Argento.
Possano questi ultimi rasserenarsi: come già precedentemente anticipato dallo stesso Guadagnino, il suo NON è un remake dell’originale del 1977!
Prevedibilmente le reazioni all’anteprima veneziana si sono divise tra chi ha gridato al capolavoro e chi lo ha bocciato in toto. E l’opinione di chi scrive? Cautamente nel mezzo ma decisamente dalla parte degli estimatori. Ed è proprio questo suo oscillare tra due livelli estremi a rendere difficile tanto la formulazione di un giudizio univoco quanto l’attribuzione di un giusto voto numerico.
Tornando al confronto con l’opera originale, va ribadito che Guadagnino scampa allegramente questo rischio perché nel suo c’è una marcata presa di distanza dall’acclamato lavoro di Argento.
Se quest’ultimo agiva più sul territorio fotografico e scenografico, nella versione del regista palermitano l’orrore è invece coreografico e forse più incline alla sperimentazione. Si potrebbe quindi affermare che Guadagnino abbia approfondito la materia originale connotandola di un nuovo e vibrante registro visivo. Ma è anche vero che opera un’esplorazione sulla paura in generale e sull’impatto che questa può avere negli occhi di chi guarda.
Nel suo Suspiria si viene spaventati sin dall’inizio pur senza effettivamente assistere a nessuno dei tradizionali elementi tipici dell’horror classico. Perfino le atmosfere risultano più sobrie, quasi spente. Eppure basta soltanto un delirante dialogo iniziale a metterci di fronte al fatto compiuto. Da lì in poi tutto contribuirà a riscrivere le regole di genere: dai semplici capelli rossi di Dakota Johnson ai complessi e vertiginosi movimenti di macchina.
Come nella versione originale, la trama racconta di una giovane aspirante ballerina di nome Susie Bannion (questa volta più talentuosa e assai meno sprovveduta del personaggio reso memorabile da Jessica Harper) che si iscrive alla Markos Tanz Company di Berlino per frequentare uno dei suoi prestigiosi corsi di danza. Pur senza esperienza, la giovane cattura da subito l’interesse della sua vanitosa insegnante, tale Madame Blanc. Ma le sue compagne si ritroveranno presto coinvolte in alcuni eventi misteriosi che faranno emergere il vero volto della scuola.
Apparentemente la storia sembrerebbe la stessa, ma Guadagnino la scompone, squarcia e tira fuori qualcosa di completamente diverso perfino sul semplice piano narrativo (sebbene il riferimento a cui allude il titolo sia rimasto lo stesso).
Più che a Dario Argento, il regista sembra guardare a Zulawski e (in misura minore) a Hitchcock. Il risultato è di altissimo livello e porta talvolta lo spettatore ad un passo dalla crisi epilettica. Tutto quello che succede sullo schermo sembra tradurre in immagini le emozioni di chi guarda quasi precedendolo sul tempo e senza mai mollarlo.
Il ritmo di questa danza macabra (e totemica) è intensissimo e per una buona parte del film si sconfina nel capolavoro (termine spesso abusato ma qui proprio inevitabile).
Questo lavoro così inclusivo e completo non è però del tutto privo di sbavature. L’incanto sembra infatti spezzarsi verso gli ultimi trenta minuti quando il regista cede all’egotismo più sfrenato (e che troppo spesso lo contraddistingue) e si assiste quindi ad un fastidioso delirio morfologico. Ma ad uscirne lesa è anche la stessa narrazione che sfocia in una chiusura eccessivamente criptica, seppur placata da una riappacificante immagine finale.
A questo punto una domanda sorge spontanea: quanto negativamente questo brusco ribaltamento influisce sul risultato finale? Non troppo, per fortuna. La qualità è pur sempre tanta, forse troppa, e non si retrocede più del (non) necessario. Si manca “l’obiettivo capolavoro”, ma nulla riesce a scollargli di dosso l’etichetta di “ottimo film”. Però a chi si è nutrito dell’entusiasmo della sua visione questo cambio di rotta potrebbe (non a torto) bruciare forse un po’ più del dovuto.
Suspiria esce nei cinema l’1 gennaio 2019 distribuito da Videa.
Claudio Rugiero
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