Io, Arlecchino, la recensione

Paolo (Giorgio Pasotti), famoso conduttore televisivo di un talk show con sede a Roma, viene colto di sorpresa quando una chiamata lo avverte che suo padre Giovanni (Roberto Herlitzka), è stato ricoverato in ospedale. Costretto a tornare nel paese natale di Cornello del Tasso, nella provincia bergamasca, l’uomo scopre che il padre sta morendo a causa di un tumore. Dal canto suo Giovanni, da sempre attore teatrale e famigerato Arlecchino, non vuole rinunciare alle prove che sta portando avanti con la compagnia locale, ed è determinato a mettere in scena per l’ultima volta il personaggio goldoniano a lui così caro.

Io, Arlecchino segna il debutto alla regia di Giorgio Pasotti e del tecnico del montaggio Matteo Bini, i quali dirigono una pellicola senza infamia e senza lode, che mescola il dramma familiare alla denuncia contro l’odierna società consumistica. L’intenzione sembra quella di ricongiungere il personaggio di Paolo non solo a quello del padre, bensì anche a se stesso grazie alla riscoperta della maschera arlecchiniana, in un certo senso vero e proprio leitmotiv del film.

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Ciò che funziona in Io, Arlecchino è la decisione di utilizzare un intreccio piuttosto semplice in modo da sviluppare un racconto fiabesco che misceli in parti uguali dramma e commedia. “L’eroe” che conduce una vita che non gli appartiene e che, dopo un grave trauma, scoprirà se stesso nell’ultimo luogo in cui si sarebbe aspettato di ritrovarsi è alla base della diegesi che scorre piacevolmente grazie a una regia pulita, e a un’ottima fotografia dei paesaggi bergamaschi. Un altro aspetto positivo riguarda i comprimari, ossia la compagnia teatrale locale a cui fa capo il magnifico Roberto Herlitzka. Il suo Arlecchino, sgargiante cialtrone dalla battuta pronta, ha tutti i connotati appartenenti alla Commedia dell’Arte, qui arricchiti dalla componente reale di un uomo che ha dedicato la sua intera esistenza al teatro. Anche il resto del gruppo, composto da Lunetta Savino, Gianni Ferreri, Eugenio de’Giorgi e Valeria Bilello rende credibili l’impegno e il duro lavoro che si celano dietro una compagnia di attori seppur, in questo caso, improvvisati.

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Tuttavia, è nel momento in cui avviene il famoso “passaggio del testimone” che qualcosa s’incrina all’interno dell’economia del film. L’atteggiamento favolistico cede il passo a una critica sociale trattata in maniera più che convenzionale, spesse volte banalizzata da una superficialità che si riscontra e nei personaggi, e nella struttura narrativa. L’Arlecchino impersonato da Paolo/Pasotti è poco convincente, macchinoso, a tratti ingenuo e perciò non può far altro che crollare di fronte al paragone con quello di Giovanni/Herlitzka. Inoltre, la sceneggiatura si affida a un punto di vista che suddivide nettamente i personaggi in buoni e cattivi, estremizzando le situazioni degli ultimi e, come si diceva poco sopra, semplificando i primi.

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In generale, l’idea di partenza di riportare in auge un pezzo di storia teatrale italiana oramai snobbata da una cultura consumistica sempre più spietata, era buona. Peccato per la resa un po’ troppo sempliciotta e stereotipata delle vicende e dell’utilizzo della maschera di Arlecchino, il quale meritava un percorso narrativo molto più complesso di così.

Io, Arlecchino è nelle sale italiane da giovedì 11 giugno, distribuito da Microcinema Distribuzione.

Noemi Macellari

PRO CONTRO
  • L’intreccio favolistico nella prima parte è semplice ma ben raccontato.
  • I comprimari regalano vivacità al film.

 

  • Giorgio Pasotti non riesce a reggere il confronto con Roberto Herlitzka.
  • La seconda parte è trattata in modo banale, e scade nel già visto.

 

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