Irrational Man, la recensione
Dopo le brillanti coste del sud della Francia del non eccelso Magic in the Moonlight, Woody Allen torna in gran forma, nonostante gli ottanta anni appena compiuti, con il suo nuovo film Irrational Man. Se c’è un autore per il quale è impossibile non guardare con attenzione i lavori precedenti questo è Allen, e non lo diciamo solo per una precisa ragione di coerenza poetica ma anche per una più pragmatica questione temporale: il regista ci ha “viziati” con circa un film l’anno e perciò riusciamo ad analizzare ogni suo prodotto mettendolo a confronto con i suoi ultimi lavori ed i suoi evergreen.
Allontanato il gusto retrò di Midnight in Paris e Magic in the Moonlight, la storia è ambientata nel mondo odierno e affronta i grandi interrogativi del contemporaneo con tanta filosofia che apre il film dalla prima battuta e lo permea per tutta la sua durata.
Abe Lucas (Joaquin Phoenix) è un professore di filosofia di notevole fama che affronta una depressione arrivata ai massimi storici, in gran parte dovuta all’incapacità di dare un senso alla sua vita e l’assoluta assenza di speranza verso il futuro. Arrivato in un piccolo college sulla East Coast per insegnare una materia in cui sembra non credere più neanche lui, incontrerà due figure femminili che lo accompagneranno in questo grigiore esistenziale: Rita Richards (Parker Posey), una professoressa smarrita e semplicemente infelice, e Jill Pollard (Emma Stone), la migliore studentessa di Abe, la quale intratterrà una relazione di non facile definizione con il suo professore. La verità, però, è che non saranno le donne a dare senso alla vita di Abe (sebbene loro lo crederanno in qualche modo) perchè lui riuscirà ad uscire dalla sua spirale di stasi emotiva solo grazie al caso: sarà proprio il fato beffardo, che tante volte anima i migliori personaggi della cinematografia di Allen, a dare nuovamente una ragione di vita a Abe. La casualità si materializza in una conversazione origliata da Abe e Jill in un bar che rappresenta anche la svolta narrativa della pellicola: Abe capisce che non vuole più riflettere ma desidera agire e vuole lasciare un segno nella vita degli uomini. Il professore si innalza a giustiziere divino con una facilità che, in un primo momento, potrebbe sembrare irreale ma in verità è una delle cose più realisticamente umane.
Narrativamente classicista, come quasi tutte le trame del regista, la pellicola si divide in due parti: una prima molto lineare in cui vengono presentati i personaggi principali e le loro instabilità personali ed una seconda che offre il piatto forte del film. Dal colloquio nel bar, non solo la vita di Abe riacquisterà senso ma i caratteri di tutti i personaggi cominceranno a muoversi dinamicamente con un intreccio di parole ed azioni che non lasciano più spazio ai soli dialoghi esistenzialisti. Una sorta di Delitto e castigo firmato con astuto sarcasmo nel quale si percepisce il retrogusto di Match Point, creando una sua versione più leggera e, forse, anche meno pessimista. I personaggi riescono a riflettere le ansie collettive non rinunciando mai ad una comicità schietta (qualcuno potrebbe dire immorale) come ancora per affrontare le grandi domande della vita.
Nell’incipit, Joaquin Phoenix ci appare quasi una versione maschile della disperata Cate Blanchett di Blue Jasmine ma con il passare del tempo si comprenderà tutto il suo potenziale: la sua depressione non è data dagli altri ma semplicemente da se stesso, dalle sue azioni (o meglio non azioni) e dalla filosofia sulla quale poggiava tutta la sua vita che improvvisamente non sembra più sostenerlo così bene. Tra una frase di Kant ed una di Sartre, impresse nella memoria dello spettatore grazie all’aiuto delle voice over dei protagonisti, si filosofeggia come non si faceva da tempo nei film del regista, eppure questa non risulta una scelta autoriale che disturba, rallenta la narrazione o si pavoneggia nel suo citazionismo gratuito ma riesce a dare vita a personaggi che, seppur appartenenti alla classe alta, provano le crisi che accomunano tutto il genere umano.
Emma Stone recita per la seconda volta di fila in un film di Woody Allen andando ben oltre il bel faccino ed il sorriso incantevole sotto cui molti la classificavano; si creano numerosi testa a testa tra Abe e Jill, eccellenti sia a livello narrativo che attoriale. L’attrice crea un personaggio che risulterà molto vicino all’instabilità di Abe: la sua Jill crede nella filosofia ma l’apparente sicurezza iniziale non reggerà alle fitte trame dei fatti accidentali che la coinvolgeranno.
Un film che nel profondo parla del caso ma che per farlo parla di uomini, quegli stessi uomini che quando si scontrano con le domande più difficili risultano spesso istintivi, o meglio, irrazionali. L’irrazionale del titolo è di difficile definizione e tra moralità, estetica e l’immancabile morte ci si perde un po’ per capire cosa Woody Allen intenda con la parola irrazionale. La verità è che neanche Allen vuole arrivare ad una vera risposta perché come ci suggerisce lui stesso: “Credo molto nella casualità senza senso dell’esistenza”. Quindi non aspettatevi giudizi o risposte da questo film, al massimo tornerete a casa con nuove domande.
Matteo Illiano
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