La Ragazza del Dipinto, la recensione

La storia del cinema ne è piena ma, nel secondo decennio del XXI secolo, sembrano spuntare come i funghi che, dopo un’’estate all’insegna del brutto tempo, ci attenderanno freschi freschi nei sottoboschi autunnali. Parliamo dei film post-Obama, che hanno fatto dell’’opposizione al maltrattamento e alla schiavitù delle popolazioni provenienti dall’’Africa il proprio tema centrale. A partire dal commovente The Help di Tate Taylor, storia di una domestica afroamericana nel Missisipi degli anni’ Sessanta, passando per gli ultimi film di Quentin Tarantino (Django Unchained, storia di uno schiavo liberato in cerca della moglie) e Steven Spielberg (Lincoln, racconto della lotta dell’’omonimo presidente degli Stati Uniti per l’’abolizione della schiavitù), per arrivare a 12 anni schiavo, che èriuscito dove tutti gli altri avevano precedentemente “fallito”, vincendo il premio Oscar come miglior film. A questi, si aggiunga in sordina La Ragazza del Dipinto (in originale Belle, dal nome della protagonista), film inglese diretto da Amma Asante e presentato lo scorso anno al Toronto International Film Festival. “In sordina” non tanto per minor qualità artistica della pellicola rispetto a quelle indicate sopra, bensì per denotare il modo in cui l’’argomento della schiavitù viene focalizzato.
Si parla di Dido Elizabeth Belle (Gugu Mbatha-Raw), un personaggio realmente esistito, figlia di una donna di colore e del capitano della marina inglese Sir John Lindsay. Quest’ultimo, costretto a partire per un lungo viaggio, decide di riconoscerla come figlia propria affidandola alle cure dello zio, Lord Mansfield (Tom Wilkinson). Nonostante questo, però, la sua condizione di mulatta, nascosta fino all’’ultimo alle altre nobili famiglie, non le consente di occupare la stessa posizione sociale della cugina Elizabeth, con la quale cresce fino a quando, ormai in età da marito”, conosce John Davinier (Sam Reid), figlio del vicario che collabora con lo zio di Dido (la maggior istituzione giuridica inglese in quel momento) al caso della nave Zong.

ragazza dipinto

Proprio l’’avvenimento che riguarda quest’’ultima e la condizione della protagonista, di nobili origini ma circondata da persone che ritengono un affronto averla nella medesima stanza, sono la base per la critica principale allo schiavismo che, nella GranBretagna di fine ‘Settecento, iniziò pian piano a sciamare, anche a causa alle vicende che ruotavano intorno a Dido e alla sua famiglia. In breve, 1781, gli assicuratori rifiutarono di pagare ai proprietari della nave negriera Zong il prezzo per degli schiavi gettati in acqua e lasciati annegare. Quello che ora appare senza dubbio come un gesto folle e disumano, allora era stato giustificato dalla penuria di acqua potabile sulla nave, in grado a malapena di mantenere in vita l’’equipaggio. Eventualità per la quale i possessori della nave, in aula di tribunale, avrebbero avuto la ragione dalla loro. Gli assicuratori, tuttavia, negarono il pagamento perché convinti che gli schiavi fossero stati uccisi di proposito perché malati e, dunque, avrebbe fruttato molto di più il ricavato dell’’assicurazione, piuttosto che la vendita di schiavi cagionevoli. I fatti raggiungono Dido proprio attraverso lo zio che, come giudice di maggior potere in tutta la Gran Bretagna, ha l’’obbligo di pronunciarsi definitivamente sulla faccenda. Una sentenza che si preannunciava storica ancor prima di essere emessa, perché avrebbe influito direttamente sul commercio della nazione e, indirettamente, sull’importazione dei futuri schiavi dall’Africa.

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In tutto questo, il giovane John Davinier, desideroso di far carriera nel ramo giuridico, incarna lo spirito di tutti quei movimenti anti-schiavisti che vedevano, nel caso della Zong, una grande occasione per aggiungere un tassello alla loro battaglia, oltre al desiderio di vedere dei colpevoli pagare per i propri crimini efferati. Il suo pensiero lo avvicina a Dido e i due, inevitabilmente, prendono la svolta di trama più semplice e banale possibile, innamorandosi l’’uno dell’’altra. Lei, privilegiata in un mondo che la ripudia a cui non sente mai diappartenere totalmente, soffre quando le viene proibito di partecipare alle cene ufficiali, non sa bene come comportarsi quando a servirla è una domestica di colore ed è imbarazzata anche solo dal farsi pettinare i capelli da quest’’ultima. Lui, fiero combattente dei diritti civili, che “vuole fare del mondo un posto migliore”, si batte contro l’’ipocrisia della nobiltà, che mette al primo posto nella scala di valori ricchezza e reputazione. Quella stessa ipocrisia che rende Dido, osteggiata da tutti per il colore della pelle, un’’appetibile futura moglie, in virtù dell’’eredità lasciata dal padre dopo la sua morte.

Ipocrisia in netto contrasto con quel’’entità che, spesso, viene eretta alla fine di ogni storia come salvatrice e motore di ogni cosa: l’’amore. Scelta che, certo, permette di chiudere degnamente, con un minimo di ritmo e con qualche piccola lacrima di fierezza, una pellicola che, altrimenti, si sarebbe arenata tra una cena formale e un incontro di fidanzamento ma che, d’altro canto, si accosta con davvero troppa (involontaria?) forza a una qualunque fiction in costume.
La Ragazza del Dipinto debutta in sala il 28 agosto, distribuito dalla 20th Century Fox.

Matteo Pioppi

PRO CONTRO
  • E’ un veicolo perfetto per informarsi su un fatto tanto grave quanto importante da conoscere come il massacro della Zong.
  • Spesso si ha l’impressione di trovarsi davanti a una fiction in costume, il che relega a un ruolo secondario il fatto teoricamente più importante e curioso.
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