La Torre Nera, la recensione
Con l’uscita nei cinema de La torre nera si è tornato a parlare della cosiddetta “maledizione di Stephen King”, un’annosa constatazione che nasce all’indomani di buona parte delle trasposizioni cinematografiche (ma anche televisive) delle opere del celebre “Re del Brivido”. Malgrado l’indiscutibile qualità di molte sue opere letterarie, i film tratti da King spesso risultano deludenti se paragonati alla fonte e anche bruttarelli se presi a se. Soprattutto in anni relativamente più recenti, se escludiamo i film di Frank Darabont, Secret Window con Johnny Depp e la miniserie 22.11.63, difficilmente troveremo opere degne di nota e La torre nera, purtroppo, non solo si aggiunge alla lunga lista delle opere di gran lunga deludenti, ma va ad inserirsi anche nella lista dei brutti film a prescindere.
Nata nel lontano 1982 con L’ultimo cavaliere, la lunga saga fanta-horror-western de La torre nera è considerata l’opus magnum di Stephen King, un’epica lunga otto romanzi (ad oggi) che comprende al suo interno tutto l’universo kinghiano. L’idea di portare al cinema quest’opera colossale è nata molti anni fa, precisamente nel 2007, quando J.J. Abrams e Damon Lindelof acquistarono, per la cifra simbolica di 19 dollari, i diritti di sfruttamento cinematografico della saga, con l’idea di realizzarne sette film (all’epoca La leggenda del vento non era ancora arrivato nelle librerie). Come spesso accade a Hollywood, tempistiche, impegni pregressi e difficoltà creative/produttive mandarono all’aria i piani dei due della Bad Robot e nel 2010 i diritti furono riacquistati dalla Universal Pictures, che assoldò immediatamente Akiva Goldsman, all’epoca sceneggiatore di A Beautiful Mind e Il codice Da Vinci, per scrivere il primo film di quella che sarebbe dovuta essere una trilogia milionaria, che comprendeva anche uno spin-off televisivo per la NBC. Fu scelto Javier Bardem per il ruolo principale e Ron Howard come regista, ma una serie di complicazioni, tra cui un considerevole ridimensionamento del budget, portarono al fallimento del progetto e alla cessione dei diritti da parte della Universal. Gli anni passarono e malgrado l’interesse di Warner Bros e HBO (per la serie tv), de La torre nera non se ne è fatto nulla fino al 2015, quando Sony Pictures e Media Rights Capital sono entrati in possesso dei diritti per la creazione di un universo crossmediale che comprende una saga di film e una serie tv. Viene assoldato per la regia e la revisione della sceneggiatura il danese Nikolaj Arcel, autore di Royal Affair, Ron Howard rimane in produzione, così come Akiva Goldsman e Stephen King, mentre per i ruoli principali sono stati scelti Idris Elba e Matthew McConaughey.
Ok, ci siamo. La torre nera è nei cinema e, visto il pregresso, possiamo considerare molto più appassionante l’iter che ha portato alla sua creazione cinematografica che il risultato che ne è venuto fuori.
Prendendo spunto da diversi capitoli letterari ma ponendosi quasi come un sequel (la realtà alternativa generata dal Corno di Eld), il film La torre nera si presenta sostanzialmente come un’altra cosa in confronto ai romanzi, con una serie di modifiche così sostanziali che si fatica quasi a credere che lo stesso Stephen King non solo sia tra i produttori fin dall’inizio, ma sia stato in primissimo piano anche in fase creativa con (si dice), contributi alla stesura della sceneggiatura. In primis La torre nera film è un’opera indirizzata a un pubblico differente da La torre nera romanzi e questo è il primo grande mistero produttivo/creativo che si para dinnanzi allo spettatore/lettore che, irrimediabilmente, rimarrà un po’ sgomento per le scelte intraprese. L’epica fantasy per adulti di Stephen King diventa nel film un racconto di formazione young adult piuttosto minimale che punta a un pubblico adolescenziale, ma non gli adolescenti smaliziati di oggi, bensì quelli un po’ più ingenui vissuti a cavallo tra gli anni ’80 e ’90. Un film fuori tempo massimo di cui si fatica a prevedere un reale riscontro positivo di botteghino… ma tant’è.
La torre nera è una costruzione eretta al principio della creazione dell’universo situata nel Medio-Mondo con il compito di gestire l’equilibrio tra realtà parallele. Lo stregone Walter è intenzionato ad abbattere la torre per poter riversare il Male nelle varie realtà e per far ciò ha bisogno del potere mentale di alcuni bambini, tra cui Jake, che vive con la mamma a New York e ha, fin da bambino, dei terribili incubi in cui compaiono proprio Walter, la torre e un misterioso Pistolero. Quando il bambino si accorge di essere in pericolo, grazie alle indicazioni dei suoi sogni, riesce a individuare uno dei passaggi dimensionali di New York che lo porta direttamente nel Medio-Mondo e qui fa la conoscenza di Roland, il Pistolero solitario pieno di rancore verso Walter. I due uniscono le loro forze e si avventurano verso la torre nera per sconfiggere il malvagio stregone.
Con un lavoro di forbici immane, nel film rimane parte dello scheletro dei romanzi e si punta verso la creazione di una mitologia molto più ancorata alla realtà quotidiana, cambiando anche il punto di vista sulla vicenda: dall’arcigno antieroe Roland Deschain all’adolescente problematico Jake Chambers. Il lavoro di sceneggiatura di Goldsman, Jeff Pinkner, Arcel e Andres Thomas Jensen punta innanzitutto a racchiudere in un solo film, anche piuttosto beve (95 minuti), le suggestioni di una saga letteraria di 8 volumi, riducendo all’osso la trama, tenendo solo i personaggi e gli eventi fondamentali e cercando di prendere una strada “alternativa” che inventi pur rimanendo fedele alla storia originale. Un lavoro immane che ha portato a un film dai risvolti semplicistici, privo di sfumature, con personaggi scarsamente approfonditi e una mitologia poco chiara. C’era da aspettarselo, penserete, ma ridurre il tutto a una battaglia tra Bene e Male con la scansione degli eventi e la descrizione dei personaggi basilare all’ottica di Vladimir Propp un po’ lascia l’amaro in bocca, soprattutto pensando a quante potenzialità la saga della Torre nera avrebbe potuto offrire.
Oltre alla narrazione schematica e un finale frettolosissimo che risente sia dei problemi post-produttivi (in seguito ad alcuni screening-test negativi sono state rigirate delle scene) che della povertà di budget (circa 60 milioni di dollari), La torre nera mostra diversi limiti anche registici, soprattutto nella gestione delle scene d’azione. Nikolaj Arcel probabilmente non era la persona più adatta a questo genere di film e infatti viene a mancare quella portata epica fondamentale per questa storia, così come i combattimenti al centro tutte le scene clou del film non hanno mordente, sono girati con troppi stacchi e una mancanza di totali che mostrino chiaramente l’azione.
Il cast risulta un po’ strampalato. Il giovane Tom Taylor è sicuramente l’elemento più convincente del lotto, grazie a una adeguata espressività che rende credibile il suo piombare improvviso in un mondo fantastico, Idris Elba appare un po’ spaesato e sicuramente ci si sarebbe aspettato qualche cosa di più da un personaggio così importante della mitologia kinghiana, qui ridotto a mentore rancoroso che dà il meglio di se nelle scenette ironiche in cui mostra la sua “ignoranza” verso il nostro mondo. Matthew McConaughey, ovviamente, primeggia e ruba la scena a tutti ma allo stesso tempo appare anche un po’ sprecato per impersonare il cattivone “che è malvagio perché si” e così si abbandona ad eccessi di overacting che lo rendono molto meno minaccioso di quanto sarebbe dovuto apparire.
Qua e là c’è qualche suggestione carina, come l’entrata di Jake nel Medio-Mondo, la resa (molto vintage) delle creature topesche che si mimetizzano tra gli umani con maschere di carne e comunque la maniera kinghiana in cui è trattato l’universo infantile, così ricco di responsabilità e sempre in bilico sul precipizio dell’età adulta.
Al momento l’accoglienza de La torre nera non è stata positiva, ma se il progetto dovesse continuare così come nell’idea dei produttori, ci auguriamo che l’aggiunta di tasselli della mitologia kinghiana possa ricucire e impolpare quello che è stato fatto in questo mediocrissimo primo film, che non rende assolutamente giustizia all’affascinante universo che il “Re del Maine” ha creato in 35 anni di sfrenata immaginazione.
Roberto Giacomelli
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