L’Esorcismo – Ultimo atto, la recensione dell’horror metacinematografico con Russell Crowe

In questi anni stiamo vivendo un vero e proprio ritorno del filone esorcistico al cinema, in parte alimentato dal successo del Conjuringverse che, nei capitoli principali della saga, ha sempre fatto suoi gli stilemi di questo sottogenere dell’horror. Da Gli occhi del Diavolo a Late Night with the Devil passando per My Bestfriend’s Exorcism, in molti hanno affrontato questi argomenti cercando una via originale, ma abbiamo vissuto anche il ritorno del brand che ha dato origine a tutto con L’esorcista – Il credente e perfino la nascita di un nuovo franchise ispirato nientemeno che a Padre Gabriele Amorth con il successo dello scorso anno L’esorcista del Papa, in cui Russell Crowe vestiva i panni del celebre prete esorcista italiano. Ma prima de L’esorcista del Papa, Russell Crowe aveva già interpretato un “esorcista” in L’Esorcismo – Ultimo atto, curioso horror/drama metacinematografico realizzato nel 2019 e rimasto senza distribuzione per ben cinque anni.

Infatti, il film co-scritto e diretto da Joshua John Miller e prodotto da Kevin Williamson con Miramax era conosciuto fino a qualche mese fa come The Georgetown Project e, per motivi che non sono stati resi noti, non ha trovato una distribuzione fin quando – sicuramente visto il successo de L’Esorcista del Papa – Vertical e Shudder hanno deciso di rilevare il film cambiandogli titolo (diventa The Exorcism) per distribuirlo negli Stati Uniti, sbloccando così la situazione a livello internazionale. In Italia è stata Eagle Pictures ad accaparrarsi immediatamente i diritti di distribuzione anticipando l’uscita al 30 giugno 2024, ovvero con una settimana di vantaggio su quella statunitense.

Ma di cosa parla L’Esorcismo – Ultimo atto?

Stanno per partire le riprese del film horror The Georgetown Project ma l’attore che deve interpretare il prete esorcista muore misteriosamente sul set. Viene scelto come sostituto Anthony Miller, ex divo decaduto a causa di una rovinosa dipendenza da alcool e droghe, ora disintossicato, che sta tentando lentamente di reinserirsi nel mondo del cinema aiutato da sua figlia Lee, con la quale aveva tagliato i rapporti. Più passano i giorni di produzione del film, più Anthony mostra uno strano comportamento che lo mette in cattiva luce con il regista e la produzione. Lee teme che suo padre sia ricaduto nel tunnel della dipendenza, ma qualcosa di molto più sinistro sta invece cercando ci impossessarsi della sua anima.

Il titolo del film nel film The Georgetown Project è un chiaro rimando al capolavoro di William Friedkin L’Esorcista, che si ambientava proprio nel quartiere universitario di Washington, e la stessa crew del film, ad un certo punto, leggendo il titolo della sceneggiatura, pensa che stanno lavorando al remake de L’Esorcista, lanciando una frecciatina al trend hollywoodiano di rifare ogni cosa. Ma il legame che L’esorcismo – Ultimo atto ha con il film di Friedkin non si limita a questo perché il regista e sceneggiatore Joshua John Miller è figlio di Jason Miller, proprio QUEL Jason Miller che vestì i panni dell’indimenticabile Padre Karras nel capolavoro del 1973.

Nella realtà, Jason Miller ha avuto davvero problemi con alcool e droga, dipendenze che in parte hanno compromesso la sua carriera cinematografica, e il difficile rapporto con suo padre, nonché le storie che l’uomo raccontava al figlio sulla presunta maledizione che c’era sul set de L’Esorcista, hanno alimentato la fantasia di Joshua John Miller al punto tale da diventare esse stesse motore del film. Possiamo, quindi, considerare L’Esorcismo – Ultimo atto un film semi-biografico e quesi auto-biografico (Lee è chiaramente l’alter ego del regista), una caratteristica singolare e molto interessante che accresce il valore di un’opera che, altrimenti, zoppica un po’ troppo sotto il punto di vista più puramente artistico.

L’introduzione è in puro stile Kevin Williamson, con un omicidio (stavolta soprannaturale) che si consuma sul set di un film. Sembra di essere sul set di Stab 3 che è al centro di Scream 3 (paradossalmente uno dei tre film della saga non scritti da Williamson!) e questa è una forte dichiarazione d’intenti per il valore metafilmico dell’operazione. Se il contesto rimane quello cinematografico, con la scansione in giorni di riprese, il focus de L’Esorcismo – Ultimo atto si allontana sempre di più da quello del film nel film andando ad approfondire, invece, il tenore drammatico della vicenda.

Quando chiamano The Georgetown Project “film horror” davanti al regista, quest’ultimo ribatte dicendo che si tratta più di un film drammatico con elementi soprannaturali, andando a spiegare perfettamente quello che lo spettatore in sala deve aspettarsi nei minuti successivi. E infatti, quello di Joshua John Miller si allontana progressivamente dalle atmosfere dei film dell’orrore, salvo alcuni jumpscare e una sequenza d’omicidio molto fuori luogo, giocando neanche troppo velatamente la carta della metafora.

La possessione demoniaca che ha per oggetto l’attore Anthony Miller è reale, non temete, ma è effettivamente una chiave di lettura del suo vissuto, sia delle dipendenze di cui ha sofferto sia di un abuso subito da giovane, “risvegliato” proprio dalla vista dell’abito talare. Oltre al dissidio interiore che Anthony affronta, che si manifesta esteriormente con i sintomi della possessione, c’è anche il grande spettro del rapporto con sua figlia Lee, che pian piano sta cercando di recuperare se il demone non compromettesse tutto.

Joshua John Miller e il co-sceneggiatore M.A. Fortin, che avevano già realizzato insieme nel 2015 l’efficace slasher metacinematografico The Final Girls, sono chiaramente poco interessanti a fare un horror esorcistico classico, ma L’Esorcismo – Ultimo atto si mostra davvero troppo confuso sulla sua natura perché, di fatto, è proprio un horror esorcistico, anche molto anni ’90, la cui riuscita è compromessa dall’ambizione di essere altro. Questo si traduce in tempi morti abissali che sfociano in noia, l’appiattimento di tutti i momenti più puramente horror, una storia sviluppata in maniera poco interessante e un immancabile esorcismo finale ridicolo nella sua inadatta pacchianeria.

Come possiamo immaginare anche solo dal poster, il film ruota attorno a Russell Crowe e al suo innato carisma, anche se a dividere quasi equamente lo schermo con l’ex Gladiatore c’è Ryan Simpkins, già vista nella trilogia horror di Netflix Fear Street, che interpreta Lee Miller con una certa efficacia. Nel cast, nel ruolo dell’indemoniata di The Georgetown Project, c’è l’attrice e cantante Chloe Bailey, sorella della Sirenetta Halle Bailey, mentre in un piccolo ruolo troviamo Sam Worthington di Avatar.

In conclusione, dunque, possiamo considerare L’esorcismo – Ultimo atto un buco nell’acqua: un soggetto interessante che possiede un vissuto (auto-biografico) ancora più interessante si traduce in un dramma dalle forti connotazioni horror che non spaventa e non appassiona. Il fatto che, a livello promozionale si stia cercando di collegarlo velatamente a L’esorcista del Papa (con il quale davvero non ha nulla a che spartire) è già un forte indicatore del potenziale poco appeal che questo titolo possiede.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Il soggetto è interessante.
  • Il modo come è legato a doppio nodo con L’Esorcista di William Friedkin gli conferisce un particolare fascino.
  • Russell Crowe dove lo metti porta a casa brillantemente il risultato.
  • Ha un’identità poco chiara: non è un horror puro ma gli è chiesto di esserlo e di conseguenza non funziona come tale.
  • Gira a vuoto per una buona metà del tempo.
  • L’esorcismo finale è tra i più mosci e male orchestrati che si siano visti in un film.
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