Fear Street Trilogy: i 3 volti della paura di Netflix

Cosa può venir fuori unendo R.L. Stine, ovvero il papà di Piccoli Brividi, con tutti i luoghi comuni del cinema horror post-moderno americano e il target base di Netflix? La risposta arriva da Fear Street, o meglio Fear Street Trilogy, tre film tratti dall’omonima serie di romanzi di R.L. Stine che raccontano un’unica grande storia d’orrore che pesca a piene mani dalle suggestioni del cinema del brivido più popolare degli ultimi 40 anni. Parliamo di Fear Street Parte 1: 1994, Fear Street Parte 2: 1978, Fear Street Parte 3: 1666 tutti e tre diretti e co-sceneggiati da Leigh Janiak, conosciuta dal pubblico horror per il bel body-horror Honeymoon (2014).

Distribuiti su Netflix a cadenza settimanale a partire dal 2 luglio 2021, i film di Fear Street erano stati inizialmente pensati per il cinema. La pre-produzione è iniziata, infatti, nel 2015 per concretizzarsi solamente nel 2019 quando la Chernin Entertainment aveva stretto un accordo distributivo cinematografico con 20th Century Studios per un’uscita in sala nell’estate del 2020, un film al mese. I piani sono stati poi sabotati dall’esplosione della pandemia da covid-19 e la Chernin ha allora ripiegato su Netflix per la distribuzione in streaming.

I tre film raccontano un’unica storia che si articola in tre epoche differenti, accomunate dalla maledizione di una strega che affligge gli abitanti di un paesino dell’Ohio.

L’azione prende il via nel 1994, quando la cittadina di Shadyside viene sconvolta da un massacro al centro commerciale dove un ragazzo, mascherato e armato di coltello, uccide diverse persone prima di essere fermato e ucciso dalla polizia. Ma è solo l’ultimo di una serie di eventi che, nel corso dei decenni, ha fatto guadagnare a Shadyside la nomea di “città killer”, forse risultato di un’antica maledizione scagliata nel 1666 da Sarah Fier, una ragazza accusata di stregoneria e giustiziata proprio dagli abitanti di Shadyside. Infatti, periodicamente la città è stata travolta di eventi di cronaca nera che hanno visto abitanti del luogo impazzire e compiere atrocità, come è accaduto nel 1978 quando il campo estivo vicino al lago è diventato tristemente noto a causa di una strage ad opera di uno degli istruttori.

A farne le spese sembra essere l’adolescente Deena Johnson che, dopo i funerali delle vittime del centro commerciale e uno scontro con gli studenti della città vicina di Sunnyvale, ha accidentalmente profanato insieme alla sua ragazza Sam l’antica tomba di Sarah Fier. Come conseguenza, Sam viene posseduta da una forza maligna che la rende violenta mentre Deena ha assorbito le visioni della strega, attirando su di lei tutti i killer che negli anni sono comparsi a Shadyside. Per Deena è adesso una questione di sopravvivenza, mentre tra le strade della città scorrazzano mostruosi assassini immortali, e per questo decide di chiedere aiuto a Cindy “Ziggy” Berman, unica sopravvissuta del massacro al campo Nightwing del 1978.

Visto che la prima parte di Fear Street si ambienta a metà anni ’90, l’inizio del film richiama prepotentemente Scream: il look del killer, il suo modus operandi, una first girl interpretata dall’attrice più nota del film (Maya Hawke) e perfino le musiche (che sono, guarda un po’, di Marco Beltrami). Tutto fa il verso al capolavoro di Wes Craven. Solo che l’opera di Leigh Janiak, dichiaratamente citazionista, non si ferma a Scream e già dopo pochi minuti ridefinisce la sua personalità allargando gli orizzonti verso molte altre suggestioni del cinema horror che vanno dalla possessione alla stregoneria, pur tenendo il teen-slasher come punto saldo di questo primo film e anche del secondo.

Come è prevedibile, infatti, Fear Street Parte 2: 1978 è un omaggio a Venerdì 13, dall’ambientazione nel campeggio estivo al look del killer che si rifà a Jason Voorhees di L’assassino ti siede accanto. Nonostante un’ottima resa estetica che tende ai colori caldi e alla riproposizione delle atmosfere dei film dell’epoca, questo secondo film appare più fiacco, troppo focalizzato nel voler rifare a tutti i costi un Venerdì 13 qualunque, ci mette troppo tempo ad entrare nel vivo dell’azione e, come risultato, sembra uno dei tanti slasher anni ’80 nati proprio sull’onda del successo della saga con Jason.

Fear Street Parte 3: 1666 torna molto indietro nel tempo e, partendo dalle visioni di Deena che si immedesima in una sorta di viaggio mentale temporale in Sarah Fier, ci racconta la storia della presunta strega che ha dato origine a tutta la maledizione di Shadyside. Fondamentalmente si tratta della classica storia di ignoranza popolare dell’epoca secondo la quale ogni comportamento “anomalo” di una donna può essere additato all’influenza del Maligno e Sarah Fier provava attrazione per le ragazze, intessendo anche una relazione clandestina con una sua coetanea, quindi potete immaginare la reazione dei compaesani.

Il punto di raffronto è per forza di cose The VVitch di Robert Eggers, da cui la Janiak riprende alcune caratteristiche come il bosco detentore di verità, gli animali che si comportano in maniera inquietante come veicolo del Diavolo, la malattia dei famigliari e il raccolto andato a male. Ma trattandosi di un prodotto fondamentalmente per adolescenti, si procede giustamente alla semplificazione sia narrativa che stilistica, per dare a Fear Street un capitolo prequel coerente e rivelatore che veicola verso l’epilogo, nuovamente ambientato nel 1994.

Nel complesso, Fear Street è un’operazione riuscita, un omaggio alla magnifica tradizione del cinema horror americano che strizza l’occhio a chi quel cinema lo conosce ma parla fondamentalmente ai giovanissimi. Infatti Netflix appare davvero il mezzo più adatto per distribuire un’opera come questa che fa della sua classicità uno spudorato piede di porco per forzare tutti i dettami dell’horror contemporaneo, per cui l’inclusività è d’obbligo (a costo di cadere in falsi storici, come gli afroamericani parte della colonia pre-Shadyside del 1666), il sesso è accennato ma mai mostrato, la colonna sonora è fortemente caratterizzante dell’epoca con pezzi noti anche ai sassi. Una nota assolutamente positiva (e anche un po’ sorprendente) è il livello di violenza mostrata, molto alto e sfociante nello splatter, soprattutto nei primi due film, oltre che il look dei vari mostri che appare decisamente accattivante.

Insomma, anche la generazione Netflix ora ha il suo “kolossal” horror, che fondamentalmente è una gradevole rimasticatura di quanto hanno potuto vedere al cinema le generazioni precedenti.

Roberto Giacomelli  

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