Il libro di Henry, la recensione
A volte le cose non sono ciò che sembrano e, sotto il tappeto, si nasconde il polverone. Ci troviamo in una piccola città di provincia, dove vive la famiglia Carpenter. La madre, single ed infantile, Susan Carpenter (Naomi Watts), lavora come cameriera in una tavola calda e nel tempo libero gioca alla PlayStation. Il figlio più piccolo di Susan, Peter (Jacob Tremblay, già visto ed elogiato in Room) è uno spensierato ragazzino di 8 anni. A prendersi cura di tutto e tutti è il figlio maggiore, il genietto undicenne Henry (Jaeden Lieberher, fresco di IT). Tutore del fratellino che lo idolatra, ed instancabile sostegno per quella ragazzina cresciutella di sua madre, attraverso investimenti finanziari e tattiche che neanche un broker assicurativo, Henry si prende cura della famiglia e sfavilla di giorno e di notte, come la Cometa di Halley. Ebbene sì: il genio di 11 anni gioca in borsa, tiene i conti e porta avanti la baracca. Ma non è tutto oro quello che luccica. Mentre la famiglia Carpenter si barcamena tra una genialata e l’altra di Henry, la casa dei vicini, in cui vive Christina (Maddie Ziegler), compagna di classe del piccolo Einstein, nasconde un losco segreto, legato al viscido Glenn Sickleman (Dean Norris), commissario della polizia locale e patrigno, appunto, della ragazzina. Henry, neanche a dirlo, da ottimo detective, escogitata un sorprendente piano surreale che evolve ben oltre il limite della legalità, per aiutare la gentil donzella. Susan si ritroverà coinvolta nella faccenda, forse un po’ troppo.
È difficoltoso parlare de Il Libro di Henry (The Book of Henry) diretto da Colin Trevorrow. C’è da dire che, forse, i critici americani ci hanno dato giù un po’ troppo duro. Le critiche negative che hanno accolto l’uscita oltreoceano del film sono tra le cause che hanno portato al noto cambio di regia per il prossimo Episodio IX di Star Wars, che doveva essere diretto, appunto, da Trevorrow. Ma queste, anche feroci, invettive contro l’ultima fatica cinematografica del regista di Jurassic World sono davvero giustificate?
Apparentemente ci troviamo davanti ad una pellicola dalle alte ambizioni. Vorrebbe essere un eccentrico crime-drama, che riesce però a godere solo di una bella fotografa e di un ottimo montaggio, soprattutto sonoro, e che si regge sulle dignitose interpretazioni dei due piccoli/grandi attori. Stop. Non c’è altro. Ci sono buone intuizioni, ma che restano “fuffa”. Vuole essere un film strappalacrime? Vuole essere un thriller? Vuole essere un dramma famigliare? Non è bene chiaro. Il Libro di Henry tenta l’incredibile e rocambolesco crossover tra cinema strappalacrime e thriller in un trionfo di generi mal mescolati. Sembra quasi di trovarsi al cospetto di una visione simultanea di tre pellicole, una diversa dall’altra ma tutte scialbe, messe insieme a forza, con esiti poco convincenti. La volontà di mantenere questo mix altalenante tra più registri purtroppo, in questo caso, si dimostra una scelta rischiosa.
Ci troviamo sicuramente di fronte ad un’opera atipica, a tratti straniante, che vuole a tutti i costi risultare un film di quelli che ammiccano ad ogni scena e sembrano spifferare “shhhhh sono un film indipendente e d’autore posso permettermi di fare ciò che voglio”, tentando di esaltare il proprio intimismo. In realtà è l’opposto. Non è un’opera intima e sincera, capace di lavorare sul linguaggio e sulle singole componenti in maniera approfondita e personale, come fa un film d’autore. È uno dei lavori più ruffiani e meno sinceri visti di recente che affonda le radici nel clichè del film importante. Mentre Naomi Watts, solitamente irreprensibile, risulta fuori parte, Trevorrow preme sull’acceleratore del sentimentalismo, creando situazioni che vogliono a tutti i costi far scendere la lacrima. Tutto ciò lo fa in maniera sfacciata e usando personaggi che risultano, nel complesso, mal caratterizzati.
Niente da eccepire, come già accennato, sul piano fotografia e scelta stilistica ispirata ai classici degli anni ’80, con tanto di polaroid e musicassette, utilizzati come elementi determinanti ai fini della trama. Anche se, anche qui, è evidente la volontà di far leva sulla malinconia dello spettatore che gli anni ’80 li ha vissuti. Ma sorvoliamo su quest’argomento: ormai il sapore vintage è decisamente di moda. Inoltre, non serve un cinefilo estremista per individuare i trucchetti che la sceneggiatura utilizza, attingendo a piene mani dal recente cult televisivo 13 Reasons Why. Tra le scelte degne di nota, c’è da dire che Il Libro di Henry è girato in 35mm, e si vede. Ed è sempre bello godere della visione di un film girato in 35 mm, anche se è pellicola, per lo più, sprecata in questo caso.
In conclusione lasciamo spazio ad uno dei principali punti di merito della storia: la volontà di scoperchiare il vaso di Pandora che rappresenta la perfezione della vita di provincia, dove i tappeti di casa non nascondono solo polvere ma anche segreti da non rivelare. Argomento quanto mai attuale ad Hollywood, come a casa nostra.
Il Libro di Henry uscirà nelle sale italiane il 23 novembre 2017, distribuito da Universal Pictures.
Ilaria Berlingeri
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