Light of My Life, la recensione

Le apocalissi al cinema sono cosa ormai risaputa, in tv, poi, non ne parliamo. Il filone post-apocalittico, infatti, è uno dei maggiormente percorsi da certa fantascienza moderna perché consente di mettere l’uomo faccia a faccia con le sue paure più ataviche trasferendo in un futuro non troppo lontano o un presente distopico le conseguenze dell’azione umana scellerata. Uno specchio di possibili futuri in cui a dominare è la legge del più forte e regressione umana e violenza sono indispensabili per sopravvivere.

In un filone che ha regole così codificate e ferree, nasce un film abbastanza fuori dal comune che segna la seconda regia cinematografica per l’attore Casey Affleck, Light of My Life.

Un padre cerca di nascondere l’identità di sua figlia undicenne Rag spacciandola per un maschio e con lei vaga per i boschi di un paesaggio ormai distrutto per colpa di un virus che ha ucciso gran parte della popolazione umana femminile. Gli uomini, dal canto loro, sono come regrediti a uno stato di violenza ed egoismo e così il padre cerca di tenersi il più possibile lontano dai luoghi abitati.

Casey Affleck, che interpreta anche il ruolo del padre protagonista, ci racconta un’umanità sull’orlo del collasso, ormai spacciata a causa di un virus che ha cancellato il futuro uccidendo le donne, quindi condannandoci all’estinzione. In questo scenario, che richiama neanche troppo velatamente l’apocalisse descritta da Alfonso Cuarón ne I figli degli uomini (che ha sua volta pagava un importante debito verso 2019: Dopo la caduta di New York di Sergio Martino), Light of My Life si concentra sul rapporto tra padre e figlia, intraprendendo un percorso minimalista sulle emozioni e l’affetto che si salda sempre più in situazioni di estremo pericolo. Il padre amorevole e premuroso di Casey Affleck riesce subito a far breccia nel cuore dello spettatore, fin dal prologo in cui troviamo il genitore impegnato nel raccontare una favola della buonanotte alla figlia, inventando con fantasia e palese difficoltà una storia di animali che raccontasse proprio la sua bambina, per farle coraggio in una situazione in cui la determinazione personale è fondamentale per potersela cavare.

La bellissima sequenza introduttiva, a camera fissa sul mezzo busto dei due personaggi sdraiati in tenda, ci introduce a un contesto in cui tutto si riduce alla fuga: padre e figlia sono un microcosmo che non consente l’aggiunta di terzi perché non è possibile fidarsi di nessuno. Appena la loro presenza viene scoperta da qualcuno, è il momento di spostarsi altrove in un girovagare che fa di Rag e suo padre la moderna espressione del nomadismo.

Una cosa che però ad Affleck non riesce è l’espressione dell’apocalisse, del disastro che ha travolto l’umanità. Noi vediamo i due personaggi vagare per i boschi come in un qualsiasi episodio di The Walking Dead senza che si manifestino reali pericoli, escludendo qualsiasi sguardo sull’umanità distrutta. L’unica incursione del protagonista in un luogo abitato e civilizzato si traduce in una tappa all’emporio di paese escludendo, anche in questo caso, quel senso apocalittico che il contesto invece chiede. È una scelta che chiaramente si rifà alla volontà di parlare di speranza e sicuramente è stata dettata anche dall’esiguo budget, ma così non si riesce a trasportare lo spettatore dentro la catastrofe, cosa in cui riusciva invece The Road di John Hillcoat, film molto simile per dinamica narrativa, personaggi in scena, location e situazione raccontata, solo che lì si respirava quell’aria mortifera da apocalisse in atto che Affleck curiosamente evita.

Come si diceva, la cosa più riuscita del film è il rapporto padre-figlia in cui il primo si prende cura della seconda insegnandole inconsciamente come si fa a prendersi cura di qualcuno, una propensione all’altruismo difficilmente applicabile in una situazione come quella dove l’egoismo regna sovrano ma che sarà fondamentale per i fini della storia.

Light of My Life si dipana lentamente senza mai dar troppa importanza all’azione e alla tensione, si vede che l’intento di Affleck era indagare sugli affetti e sulle dinamiche interpersonali più intime, per questo motivo se vi aspettate un film apocalittico o post-apocalittico come la tradizione del filone ci ha abituato, potreste rimanere delusi.

Light of My Life è stato presentato in concorso nella sezione “Panorama internazionale” della 17^edizione di Alice nella Città.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Riesce ad indagare con delicatezza il rapporto tra padre e figlia.
  • Anna Pniowsky nel ruolo di Rag è molto brava.
  • Somiglia a diverse cose già viste, in primis The Road e I figli degli uomini.
  • L’aspetto minimalista non riesce mai a trasmettere quel senso di pericolo e disastro che la storia vorrebbe veicolare.
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Light of My Life, la recensione, 6.0 out of 10 based on 1 rating

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