I Magnifici 7, la recensione

Presentato come film di chiusura della 73esima Mostra dell’arte cinematografica di Venezia, I magnifici 7 hanno portato al festival una ventata finale di energia e ottimismo.
Privo di qualsiasi pretesa oltre quella del puro intrattenimento, il remake dell’omonimo cult del 1960, a sua volta ispirato a I Sette Samurai di Kurosawa, si presenta come un dignitoso tributo all’epopea western e un buon ponte per questo genere al nostro secolo.
La vicenda nei suoi snodi principali rimane sostanzialmente invariata.
Un villaggio minacciato dall’imprenditore supercattivo di turno, assolda un gruppo di sette pericolosi outsider per liberarli dall’incombente minaccia.
Ciò che, in osmosi alla nostra contemporaneità, diverge nettamente rispetto all’opera originaria, è la varietà razziale dei protagonisti, che contano nelle loro fila un afroamericano, un cinese, un messicano e un nativo.
Immancabile anche la quota rosa, rappresentata dalla giovane Emma (Haley Bennett), che prende il posto che nel film originale era del capo del villaggio messicano, reclutatore dei Sette.
I magnifici 7 fa leva sul fascino per il Selvaggio West e su dei protagonisti intriganti, che pur ricalcando in certi aspetti i loro predecessori, si ammantano di caratteristiche proprie molto peculiari, che generano nello spettatore una certa aspettativa.
Aspettativa che però rischia per molti di restare disattesa, infatti, come nel film del 1960, il background dei personaggi è solo accennato in quei pochi elementi fondamentali per farti apprezzare meglio le loro interazioni.
Quello che conta non è tanto come questi sette individui siano arrivati lì, quanto la scelta che compiono in quel dato momento della loro vita: d’intervenire in difesa degli abitanti della piccola cittadina.
Ma perché mai un nativo o un messicano dovrebbero decidere di aiutare questa gente, senza un valido tornaconto?
Molti potrebbero restare delusi o infastiditi dalle scarse spiegazioni delle ragioni dietro all’agire dei protagonisti. Un peccato, perché quello che rende interessante questo film, come rendeva interessante l’originale (meno “improbabile” forse di questo sul piano della varietà umana, ma che raccontava una storia altrettanto anomala), è proprio la sua dimensione quasi favolistica.
Una sospensione della credibilità per raccontare una storia in cui un gruppo di antieroi decidono di redimere una vita intera compiendo insieme questa giusta azione.
Il fatto che nel 2016 il gruppo si componga oltre che di americani bianchi, anche di figure provenienti da altre etnie e culture, con un nero a capo del gruppo, non è che un upgrade, un aggiornamento, a quella che era l’idea di fondo della storia già più di cinquant’anni fa.
Un film da godersi senza troppi pensieri, con una sceneggiatura leggera infarcita di dialoghi e battute divertenti, sostenuta dalla regia dinamica di Antoine Fuqua e da un cast a dir poco perfetto.
Divertitevi insieme al saggio Chisolom (Danzel Washington), l’irruento Josh Farady (Christ Pratt, che sembra nato per fare western), il tormentato Goodnight (Ethan Hawke) sostenuto e protetto dal fidato e letale Billy Rock (Byung-hun Lee), l’inarrestabile -ed esilarante- Jack Horne (Vincent D’Onofrio), il furbo Vasquez (Manuel Garcia-Rulfo) e il giovane e misterioso Red Harvest (Martin Sensmeier).
Unico neo: l’utilizzo scarso del tema principale della colonna sonora originale, che si sarebbe potuto sfruttare di più e meglio considerata la sua popolarità.
I magnifici 7 resta (ancora oggi!), un film imperdibile sia per gli appassionati del genere che per tutti coloro che cercano due ore di svago.
Susanna Norbiato
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