Matrix Resurrections, la recensione

A distanza di ben 22 anni dal primo, indimenticabile, Matrix torniamo a percorrere il sentiero che ci conduce nel Paese delle Meraviglie intrufolandoci in quella eccentrica tana del Bianconiglio che ha dato principio a tutto. Un ritorno, quello di Matrix Resurrections, che ha lasciato un po’ sorpresi i fan del franchise ideato dagli allora fratelli Wachowski rivoluzionando narrazione e soprattutto tecnica cinematografica applicata al genere fanta/action; ha sorpreso perché il discorso era stato chiuso con i due sequel Matrix Reloaded e Matrix Revolutions e un quarto capitolo rappresentava un enorme punto interrogativo su cosa potesse fornire l’avvio e il fulcro di un ulteriore episodio.

Ma questo 2021 ci ha insegnato molto del cinema che ha cresciuto almeno due generazioni di spettatori, ovvero che nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. Dunque, la legge della conservazione della massa applicata alle proprietà intellettuali di Hollywood, che negli ultimi mesi ci hanno dato un sequel di Space Jam a distanza di quasi 25 anni, un sequel di Ghostbusters a ben 32 anni dall’ultimo, Spidermen come se piovesse dagli ultimi 20 anni di cinecomix, non poteva sottrarsi di generare il fattore nostalgia ad una delle IP più amate del cinema action-fantascientifico degli anni 2000. Ma quello che è stato fatto con Matrix Resurrections è molto differente dalle operazioni su citate perché non si pone come “semplice” sequel/reboot, ne come un’operazione effettivamente rivoluzionaria, ma un ibrido che utilizza la cifra del “metatesto” per innescare un discorso molto interessante. Peccato che questa intuizione dalle grandi potenzialità sia sfruttata solo in parte e per due delle due ore e mezza di durata, il quarto Matrix appaia come un pericolosissimo tentativo di auto-sabotaggio che, stringi stringi, si traduce nel “solito” sequel/reboot.

Non scenderemo nei dettagli della trama di Matrix Resurrections perché parte del buono di questo film sta proprio nella scoperta iniziale della modalità del ritorno di Thomas Anderson, alias Neo, Trinity e Morpheus.

In cabina di regia stavolta troviamo solo Lana Wachowski, anche sceneggiatrice insieme a David Mitchell e Aleksander Hemon, che punta altissimo con l’inizio e tutto il primo atto del film. Matrix è un cult, ne siamo consapevoli noi e ne sono consapevoli i suoi creatori, quindi la strada intrapresa da Lana Wachowski è riflettere su questo status, giocarci e, perché no, lanciare più di una frecciatina all’industria dell’intrattenimento che spreme ogni goccia delle sue property e ingabbia i fruitori in loop di riciclo resi appetibili da confezioni tirate a lucido ma, in fondo, dall’anima polverosa. L’idea è molto interessante e come il “vecchio” si fonde con il “nuovo” stimola molto la riflessione suggerendoci che Matrix Resurrections abbia davvero qualcosa di originale da raccontare.

Il problema viene a crearsi nel momento in cui gli sceneggiatori si rendono conto che questo giochino non può essere esteso ai 150 minuti di durata del film e che serve quella concretezza utile a tutte le storie, anche quelle potenzialmente astratte come i tre Matrix precedenti. A quel punto Matrix Resurrections si banalizza tantissimo, quasi annulla Reloaded e Revolutions rendendoli vani, abbandona quella strada filosofico/tecnologica dei capitoli precedenti e si trasforma esattamente in quello che sembrava deridere nel primo atto del film.

Così avremo una missione, un ritorno sui propri passi che diventa un nuovo percorso da intraprendere, un villain, praticamente un ulteriore “viaggio dell’eroe”. Però manca quel fascino che Matrix aveva quando uscì nel 1999, manca quella sfrontatezza e quel sense of wonder dei suoi sequel. Il discorso sulla resistenza degli umani verso le macchine è stato ormai sviscerato in ogni modo possibile da diversi media e il nuovo Matrix non aggiunge nulla di nuovo, perfino quando cerca di aggiungere elementi alla propria mitologia. Inoltre, il rebuild parziale della Matrice, con nuovi personaggi e nuove regole, rimane troppo in superficie con troppe cose da dire in, paradossalmente, poco tempo e, di conseguenza, viene intrapresa la strada più semplice semplificando e appiattendo personaggi (nuovi e vecchi) e contesti.

La cosa peggiore di Matrix Resurrections, infatti, è l’ultimo atto scandito da continui “spiegoni” utili a dire quelle cose della storia che il film non ha tempo di mostrare. Il tutto si fa tedioso, il film si accartoccia su se stesso e perde ogni fascino. Perfino l’azione, così innovativa e sopra le righe dei capitoli precedenti, qui perde di meraviglia, a tratti le coreografie appaiono confuse, altre volte la spettacolarità – che comunque c’è – è standardizzata al linguaggio action che a Matrix stesso ha fatto seguito.

Il cast? Keanu Reeves – con look alla John Wick – e Carrie-Anne Moss sono gli unici del vecchio cast primario a tornare nei rispettivi ruoli e fanno il loro lavoro con la professionalità che li ha sempre distinti. Yahya Abdul-Mateen II di Aquaman e Candyman è un Morpheus 3.0 completamente fuori fuoco, quasi inutile alla causa, così come Jonathan Groff di Mindhunter che è il nuovo volto dell’Agente Smith e, di fatto, non porta nulla alla storia se non un ritorno nel ritorno. Andiamo molto meglio con Jessica Henwick di Love and Monsters che interpreta Bugs, lo sguardo della nuova generazione su Matrix, chioma blu elettrico e conoscenza del kung-fu per il personaggio più ponderato dell’intero film; anche Neil Patrick Harris ha il suo perché narrativo, oltre che mostrarsi come un ottimo interprete, però la sensazione che il suo personaggio sfugga completamente al controllo della sceneggiatura è tanta. In ruoli medio/piccoli tornano anche Lambert Wilson come Il Merovingio e Jada Pickett Smith come Niobe, ma il come e il perché lo lasciamo scoprire a voi.

Insomma, Matrix Resurrections manca l’obiettivo quasi totalmente: da una premessa vincente e originale si sviluppa un film banale e scarico che fatica tantissimo ad arrivare a una conclusione già scritta. L’idea che questo possa essere un ulteriore punto di partenza per altri capitoli non convince affatto, mancano le fondamenta, inoltre la storia si era già conclusa quasi 20 anni fa e mai come stavolta non c’era il bisogno di aggiungere altro.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • L’idea di partenza è intrigante e sa utilizzare con intelligenza il suo valore metatestuale.
  • Keanu Reeves e Carrie-Ann Moss (non) sono invecchiati benissimo; Jessica Henwick e Neal Patrick Harris convincono.
  • A poco a poco la storia si banalizza e si incarta su se stessa con faticosi spiegoni.
  • L’azione non è più quella di una volta.
  • Di fatto, di un quarto Matrix davvero non ce n’era bisogno.
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