Millennium: Quello che non uccide, la recensione

Tra il 2005 e il 2007 il panorama della narrativa noir internazionale si è arricchito di un tassello fondamentale, la saga Millennium, creata dallo svedese Stieg Larsson, che ha dato vita a personaggi che hanno fatto immediatamente breccia nel cuore dei lettori. Si tratta del determinato giornalista Mikael Blomkvist e della coriacea hacker Lisbeth Salander, protagonisti di una trilogia di romanzi divenuti in breve tempo imprescindibile punto di riferimento per il genere thriller.

Uomini che odiano le donne, primo romanzo della trilogia, è diventato un film di grande successo, diretto nel 2009 dal danese Niels Arden Oplev, a cui hanno fatto immediatamente seguito La ragazza che giocava con il fuoco e La regina dei castelli di carta, entrambi diretti da Daniel Alfredson. Un successo che ha portato la Sony Pictures ad acquisirne i diritti per una versione cinematografica a stelle e strisce, che è stata firmata nel 2011 da David Fincher. Insomma, la storia di un franchise che si è acceso molto velocemente portando nell’immaginario di genere una nuova eroina, Lisbeth Salander, che presto è diventata un’icona del femminismo cinematografico.

Una tale miniera d’oro non poteva fermarsi così, anche se lo scrittore Stieg Larsson ci ha lasciati prematuramente ancor prima che i suoi romanzi fossero pubblicati. Per questo motivo, la saga Millennium ha continuato a viaggiare con un altro autore, il giornalista David Lagercrantz, che ha preso il testimone scrivendo Quello che non uccide (2015) e L’uomo che inseguiva la sua ombra (2017) e continuando a tener accesi i riflettori su Lisbeth Salander. Allo stesso modo, l’industria cinematografica ha rinnovato l’interesse per questa saga e la Sony ha immediatamente opzionato il primo romanzo di Lagercrantz per un adattamento filmico, che è entrato in breve tempo in produzione.

Millennium – Quello che non uccide è uno strano oggetto, però. Sequel, si, ma non si capisce bene di cosa. Così come il romanzo, anche il film si pone come reboot, pur dichiarando il suo appartenere a una saga. I personaggi si conoscono già, hanno un vissuto che in parte si collega a quanto scritto nei romanzi di Larsson, ma allo stesso tempo non segue temporalmente nessuna delle vicende già narrate ma è sospeso in un dopo che può essere successivo a tutto e a niente.

Questa caratteristica aiuta senza dubbio il film nel suo non essere il sequel al film di Fincher ma neanche ai tre film scandinavi, ma un sequel “X”, con nuovi attori a dar volto ai protagonisti. Allo stesso tempo, però, questa sinergia di elementi da vita a un’opera senza spessore ne personalità, un thriller d’azione anonimo e sciocchino che banalizza i personaggi e cerca un pericoloso compromesso con certo cinema d’intrattenimento lontanissimo da quello che Millennium è stato fino ad oggi.

In Quello che non uccide facciamo la conoscenza di una Lisbeth mercenaria e punitrice, assoldata per portare a termine missioni e autoproclamatasi vendicatrice degli abusi sulle donne da parte di uomini di potere. Dopo un prologo in cui la vediamo, appunto, in stile The Punisher mentre “restituisce la libertà” a una donna sottomessa dal ricco marito, il film si addentra in una trama da moderna spy story: Lisbeth viene assoldata dall’informatico Frans Balder per sottrarre alla Difesa degli Stati Uniti un programma di sua invenzione che, con un semplice click, può armare tutte le superpotenze mondiali e far scoppiare una guerra senza precedenti. Lisbeth riesce nell’impresa, ma viene intercettata dagli Spiders, un’organizzazione di cybercriminali anch’essa interessata al programma per scopi poco nobili. Con i servizi segreti americani alle calcagna e gli Spiders intenzionati ad ucciderla, Lisbeth potrà contare solo sull’aiuto dell’amico giornalista Mikael Blomkvist, che sta affrontando un difficile momento con la sua professione.

Davvero lontano dalle atmosfere oscure e morbose dei precedenti film (ma anche il romanzo è così, Lagercrantz non è Larsson) e con una decisa virata dallo psycho-thriller di Uomini che odiano le donne verso più confortanti lidi da cinema action, Quello che non uccide sminuisce ogni cosa di buono era stata creata da Larsson, Oplev e Fincher. Con la consapevolezza di avere tra le mani un brand facilmente serializzabile, le menti dietro questo film decidono di seguire la strada che solitamente si intraprende a Hollywood quando si vuole creare una saga: smorzare i toni della violenza e delle tematiche morbose e trasformare il protagonista in una sorta di super-eroe. Nonostante non sia privo di una certa cruenza visiva, Quello che non uccide abbandona quelle tematiche sgradevolmente intense che hanno caratterizzato le inchieste di Blomkvist e le azioni della Salander, piuttosto va a rifugiarsi in territori spesso battuti dei legami famigliari difficili, puntando i riflettori su una fratellanza conflittuale che non convince per motivazioni. Il focus della vicenda è poi la “solita” storia di terrorismo informatico, armi di distruzione di massa e missione per salvare il mondo, roba che nelle mani di James Bond avrebbe fatto scintille, ma in quelle di Lisbeth Salander appare solo una scelta fuori contesto e lontana dagli obiettivi a cui la saga Millennium ci aveva abituato.

Dal canto suo, il regista Fede Àlvarez, solitamente ottimo confezionatore di horror (Evil Dead – La casa; Man in the Dark), svolge un compitino per la Sony senza infondere nel film un minimo di personalità, anzi ricalcando con poca convinzione gli stilemi del cinema d’azione contemporaneo che punta tutto sull’esagerazione spettacolare, spesso dimenticando realismo e logica.

E così, Lisbeth Salander guadagna il volto androgino ma morbido di Claire Foy, qui trasformata in una sorta di Jason Bourne, forte, determinata e combattiva, dimenticando quella sfumatura di fragilità che aveva donato al personaggio Rooney Mara nel film di Fincher. A conti fatti, anche se perde il confronto sia con la Mara che con Noomi Rapace, la Foy è la cosa migliore del film, soprattutto se messa a confronto con gli sbiaditi comprimari, a cominciare da uno Sverrir Gudnasson (Borg McEnroe) particolarmente dimenticabile nel ruolo di Blomkvist, ma anche la glaciale e bellissima Sylvia Hoeks (Blade Runner 2049) non convince più di tanto nel ruolo di un villain poco motivato e stereotipato.

Se siete fan della saga Millennium, sicuramente vi farà piacere ritrovare in scena i vostri personaggi preferiti, ma vederli così banalizzati per farli aderire a una logica da franchise action holywoodiano è francamente svilente.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Claire Foy è una brava attrice e ha capito il suo personaggio.
  • Tante incongruenze e infantilismi nello sviluppo narrativo.
  • La saga di Millennium viene banalizzata e asservilita a confortevoli logiche hollywoodiane.
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Valutazione: 5.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Millennium: Quello che non uccide, la recensione, 5.0 out of 10 based on 1 rating

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