Non aprite quella porta, la recensione del sequel Netflix

In un rinnovato slancio orrorifico tra le icone cinematografiche del genere, che ha visto il trionfale ritorno di Michael Myers nella nuova saga sequel di Halloween diretta da David Gordon Green, il rinnovato interesse per Ghostface con il “requel” Scream di Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett, una svecchiata per il boogeyman Candyman nel tardivo ma efficace sequel di Nia DaCosta, le nuove avventure per il piccolo schermo della bambola assassina nella serie Chucky e l’imminente attesissimo ritorno di Pinhead in versione transgender per il reboot di Hellraiser, c’è posto anche per la motosega rombante di Leatherface in un sequel diretto a Non aprite quella porta (1974) che approda direttamente su Netflix dal 18 febbraio.

Con un evidente sguardo proprio al rilancio di Halloween ad opera di David Gordon Green per la Blumhouse, il Non aprite quella porta prodotto da Legendary Pictures e diretto da David Blue Garcia va a collegarsi direttamente al capolavoro anni ’70 di Tobe Hooper, ignorando (se vogliamo cancellando) quanto raccontato confusamente nel corso degli ultimi cinquant’anni. È un po’ la stessa idea che aveva già messo in scena nel 2013 il Non aprite quella porta in 3D di John Luessenhop con Alexandra Daddario, ma questa volta la produzione sembra andare in una direzione più sicura, se vogliamo di revisionismo classico, con un bagno di sangue che fa del Non aprite quella porta 2022 il capitolo più splatter e brutale dell’intera saga.

Gli chef influencer Dante e Melody hanno acquistato all’asta una serie di immobili nell’abbandonata cittadina texana di Harlow con l’intento di riqualificare la zona e trasformarla in una sorta di polo trendy dedicato alla cultura e alla gastronomia. Per far ciò, organizzano una raccolta fondi con un nutrito gruppo di giovani investitori che arrivano sul luogo per un sopralluogo. Quello che Dante e Melody, accompagnati dalla futura moglie di lui, Ruth, e Lila, sorella problematica di lei, è che quella zona cinquant’anni prima è stata teatro di un terribile massacro di cui si era fatto responsabile un ragazzo mascherato e armato di motosega, che è stato ribattezzato Leatherface. Di quell’assassino si sono perse le tracce, ma tutti sospettano che si nasconda ancora ad Harlow, compresa Sally Hardesty, unica sopravvissuta al massacro della motosega che, diventata sceriffo, ha dedicato la sua vita alla ricerca di quel mostro.

Prodotto da Legendary Pictures (quella dei nuovi Kong e Godzilla) con l’essenziale contributivo produttivo e creativo di Fede Álvarez e Rodo Sayagues (il remake de La casa e il dittico di Man in the Dark), Non aprite quella porta non ha avuto un iter produttivo sereno, minato da riscritture, cambi in corsa in cabina di regia, test screening negativi e un repentino dirottamento dalla distribuzione in sala allo streaming su Netflix. Segnali che, generalmente, non fanno ben sperare e, anzi, fanno presagire il disastro. Eppure il risultato che è sotto gli occhi di tutti ci suggerisce altro, perché Non aprite quella porta 2022 è un film che va diritto al punto e offre al suo spettatore esattamente quello che desidera: un massacro con la motosega (in Texas) di proporzioni esagerate.

E allora capiamo che la riscrittura della sceneggiatura con l’entrata in scena di Fede Álvarez e Rodo Sayagues (che, appunto, sono anche autori del soggetto oltre che produttori) è stata probabilmente salvifica, l’assunzione di David Blue Garcia in sostituzione di Ryan e Andy Tohill ha aggiunto carattere e lo spostamento dalla sala alla piattaforma ha fatto si che il bagno di sangue non finisse vittima delle “forbici censorie” dell’MPAA. Un progetto salvato in corner che, senza ombra di dubbio, ha anche carpito suggestioni dal già citato successo del rilancio di Halloween, dal momento che ci sono almeno tre idee simili: annullare il pregresso filmico e iniziare una nuova linea temporale alternativa collegata direttamente al primo film; mostrarci un Leatherface invecchiato (qui ha circa 65 anni); far scontrare il mostro con la sua nemesi originaria, qui riscritta in maniera badass e armaiola come la Laurie Strode di Jamie Lee Curtis ultima maniera.

Non siamo ai livelli qualitativi dell’Halloween del 2018 e all’eleganza formale che lo caratterizzava, ma il film di David Blue Garcia ha una sua personalità che punta tutto su un’atmosfera marcia e opprimente e una cattiveria di fondo preponderante. Con una carriera da direttore della fotografia e una sola regia all’attivo (il crime Tejano), David Blue Garcia si tiene giustamente lontano dalla suggestiva sgradevolezza del capolavoro di Tobe Hooper e non tenta neanche lontanamente di replicarne lo stile, pur tenendo il caratteristico comparto sonoro che caratterizzava il Non aprite quella porta originario. Piuttosto siamo nei territori del Non aprite quella porta del 2003, quello con Jessica Biel, sia per le scelte cromatiche/fotografiche sia per l’utilizzo del fango e della pioggia ma tutto nel film di David Blue Garcia è votato all’eccesso grandguignolesco, che raggiunge picchi di cattiveria notevoli e una fantasia brutale nella messa in scena delle torture e degli omicidi che ne fanno il capitolo più violento e apertamente malsano dell’intera saga, anche perché mette da parte la caustica ironia splatter che caratterizzava, ad esempio, il divertentissimo Non aprite quella porta – Parte 2 di Tobe Hooper.

Tra sbudellamenti, decapitazioni, scarnificazioni, martellate e quant’altro di shockante possiate immaginare, Non aprite quella porta tenta anche di condurre con timida efficacia un discorso sull’assorbimento e snaturamento selvaggio delle province americane che, con la scusa della riqualificazione territoriale, porta alla cancellazione delle tradizioni, della cultura originaria, per la creazione di uno scenario woke omologato, con il conseguente sfratto di chi quel territorio l’ha tirato su con il sudore e con il sangue… il sangue soprattutto. Non c’è ironia manifesta in questo “racconto morale”, ma una sottile satira sociale che vede in Faccia di cuoio (e famiglia) i custodi della tradizione confederata americana contrapposta alla moderna ideologia democratica di facciata, quella da social network. Riferimenti anche al triste primato americano delle stragi scolastiche e della cultura delle armi, utilizzati più per caratterizzare un personaggio e il superamento del suo trauma che per sviluppi di analisi e critica sociale.

Fa piacere notare che, una volta tanto, i personaggi positivi della vicenda – nonostante non sia palesemente il fulcro dell’interesse della sceneggiatura – sono scritti in maniera credibile e non sono interpretati dai soliti bellocci da paginona centrale di Playboy. Nei ruoli principali abbiamo le sorelle Melody e Lila interpretate rispettivamente da Sarah Yarkin (Ancora auguri per la tua morte) e Elsie Fisher (la serie tv Castle Rock), Sally Hardesty – che non poteva più essere interpretata dall’attrice di allora, Marilyn Burns, che ci ha lasciati nel 2014 – è impersonata con tenacia dall’irlandese Olwen Fouéré (Sea Fever, Animali Fantastici: i crimini di Grindelwald) anche se la sceneggiatura non sembra confidare troppo nel suo personaggio. In un piccolo ruolo c’è anche l’iconica Alice Krige di Silent Hill, Gretel & Hansel e I Sonnambuli, mentre Leatherface è impersonato dal possente Mark Burnham, che conferisce al personaggio la giusta carica terrorizzante e malinconica.

Dunque, Non aprite quella porta 2022 sicuramente è un’operazione riuscita perché dà a noi fan del massacro texano con la motosega esattamente quello che chiediamo: uno psicopatico implacabile e imbattibile, cattiveria ed ettolitri di sangue. Non siamo ai livelli di equilibrio stilistico mainstream dei due capitoli della Platinum Dunes, ne tantomeno alla perfezione sperimentale del capolavoro di Hooper, ma sicuramente il film di David Blue Garcia si posiziona tra i gradini più alti nei nove film della saga.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Divertimento e brutalità a vagonate.
  • Il miglior Leatherface dai 20 anni a questa parte.
  • Personaggi principali lontani dalle solite caratterizzazioni dei teen slasher.
  • Il personaggio di Sally Hardesty sembra aggiunto in script in un secondo momento e alla fine non è così determinante come potreste immaginare.
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Valutazione: 7.5/10 (su un totale di 2 voti)
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Non aprite quella porta, la recensione del sequel Netflix, 7.5 out of 10 based on 2 ratings

One Response to Non aprite quella porta, la recensione del sequel Netflix

  1. fabio ha detto:

    Pienamente d’accordo con la recensione, ero scettico al massimo e invece mi sono trovato davanti un super film, gore e malato come piace a me, ora però resta la preoccupazione per una mancata uscita in home video, che netflix legga queste mie parole e una volta tanto abbia rispetto dei fan dell’horror e faccia si che il film venga rilasciato anche in home video

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