Padri e figlie, la recensione
L’ultimo lavoro americano di Gabriele Muccino, dopo il deludente Quello che so sull’Amore, approderà nelle nostre sale il 1 ottobre 2015. Padri e Figlie, letteralmente Fathers and Daughter nel titolo originale, è una pellicola con un cast eccezionale, ma che non è tutto brilluccichii.
A tenere le fila dell’intero film c’è la storia d’amore tra un padre e una figlia che insieme affrontano i problemi di una vita tutt’altro che facile. Russell Crowe veste i panni di Jake Davis, uno scrittore premio Pulitzer che, durante un litigio in auto con sua moglie, causa un incidente in cui lei rimane vittima. Ecco che si ritrova a crescere da solo una figlia di soli 5 anni che ama più di ogni altra cosa al mondo, ma essere un genitore single non è l’unica difficoltà che Jake si troverà ad affrontare. L’incidente, infatti, continua ad avere ripercussioni sul suo stato di salute e spesso lo scrittore è vittima di violente crisi epilettiche che non gli rendono vita facile. Per questo motivo decide di curarsi per sette mesi in una clinica che darà fondo a tutti i suoi risparmi, mentre la piccola Katie è ospite dagli zii che hanno ancora qualche questione in sospeso con suo padre. Uscito dalla clinica, Jake si ritrova squattrinato, con un libro che non riscuote il successo desiderato e con il timore che gli zii si prendano sua figlia, l’unica cosa che gli rimane. Venticinque anni dopo, nella stessa New York, una Katie matura interpretata da Amanda Seyfried sta cercando di trovare la sua strada, timorosa di amare ed essere amata.
Padri e Figlie si muove su due diversi piani temporali contemporaneamente; gli anni ’80, in cui Katie aveva 8 anni e viveva con suo padre, e i giorni nostri dove vediamo una Katie ormai diventata assistente sociale e si prende cura di bambini disagiati, risolvendo i problemi degli altri senza, però, saper affrontare i propri. Un parallelismo narrativo che vede svolgersi due film in uno: un padre che teme di abbandonare sua figlia a cui è rimasto solo lui, e una giovane donna che fa i conti proprio con un vuoto che non riesce a colmare, risultato degli abbandoni subiti quando era solo una ragazzina. Questa duplicità della pellicola è ben costruita a livello tecnico, ma le due parti della narrazione sono fortemente sbilanciate.
Nella prima fase, infatti, i temi affrontati sono numerosi: la perdita di una moglie, la malattia, la crisi economica, la difficoltà di essere un genitore solo, gli insuccessi sul lavoro e il timore di perdere una figlia. Nella seconda fase, invece, ci ritroviamo in una storia quasi piatta dove un’aspirante psicologa si fa le ossa nel lavoro e intanto combatte con se stessa, intricata in storie di puro sesso e timorosa di lasciarsi andare con l’uomo che crede di amare per paura di essere di nuovo abbandonata.
Quasi si ha l’impressione che i fatti che si svolgono ai giorni nostri siano intrusi nella narrazione e che già la prima fase fosse sufficiente a raccontare la storia di Katie. Eppure tutte e due le narrazioni sono accumunate da quella che è una pateticità di fondo del tutto mucciniana. Padri e Figlie è infatti un film mucciano al cento per cento, con uno stile registico inconfondibile fatto di piani-sequenza, drammaticità narrativa estrema e l’immancabile Jovanotti che è presente, per qualche secondo, con una canzone inedita nella colonna sonora del film.
Punto a favore è la bravura degli attori. Russell Crowe è intenso come non mai e inaspettatamente tenero, ma quella che buca più lo schermo è senza dubbio la piccola Kylie Rogers, di soli 11 anni, che interpreta il ruolo di sua figlia Katie.
Punto a sfavore, invece, il modo in cui due attrici premi Oscar come Jane Fonda e Octavia Spencer sono state relegate in particine insignificanti e limitanti, stesso destino per le bravissime Quvenzhané Wallis e Diane Kruger.
In conclusione, Padri e Figlie è un film che si lascia guardare ma che non mantiene le sue promesse.
Rita Guitto
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