Questione di tempo, la recensione
Il 7 novembre arriva finalmente nelle nostre sale, distribuita da Universal Pictures, la travolgente commedia romantica Questione di Tempo (About Time), scritta e diretta da Richard Curtis.
Tim (Domhnall Gleeson), ventunenne dai capelli rossi, dopo un Capodanno da dimenticare, viene messo al corrente dal padre (Bill Nighy) di un incredibile segreto: gli uomini della loro famiglia possiedono la capacità di viaggiare nel tempo! Superato lo shock iniziale, il ragazzo apprende i dettagli sul suo straordinario dono: è possibile rivivere solo momenti del proprio passato e, per tornarvi, è necessario chiudersi in uno sgabuzzino – o in uno spazio buio e angusto – stringere i pugni e concentrarsi sull’episodio prescelto. Tim ha le idee chiare fin da subito su come sfrutterà il suo potere. Non desidera soldi o successo (cose che tra l’altro, lo avverte il genitore, i viaggi nel tempo non garantiscono ed è pertanto inutile rincorrere): vuole incontrare il grande amore. Quando s’imbatte nella dolce e timida Mary (Rachel McAdams), non ha dubbi che si tratti della ragazza che ha sempre sognato e non si fermerà di fronte a nulla pur di conquistarla, servendosi della sua magica peculiarità con esisti ora efficaci, ora disastrosi. L’incontro tra i due giovani non segnerà che l’inizio di una serie di tragicomiche disavventure che coinvolgeranno sia Mary che le rispettive famiglie. Riuscirà Tim a coronare il proprio sogno d’amore e comprendere a fondo tutte le potenzialità, le responsabilità e, soprattutto, i limiti che viaggiare nel tempo comporta?
La firma di Richard Curtis è da sempre legata alle più famose e amate commedie britanniche (regista di Love, Actually e I Love Radio Rock; sceneggiatore di Quattro matrimoni e un funerale, Notting Hill, Il diario di Bridget Jones) e al personaggio, creato con Rowan Atkinson, di Mr. Bean. Si tratta di un artista che si è dimostrato in grado, negli anni, di crescere e maturare assieme alle proprie creazioni cinematografiche, riuscendo a infondervi sempre più anima e passione, e a passare dal conseguire risultati semplici e onesti al dar vita a piccoli capolavori.Questione di Tempo, che, a quanto pare, è la sua ultima fatica prima di ritirarsi dalle scene, è una vera e propria perla e ha ottime possibilità di essere ricordato come il suo miglior lavoro.
Il film, commedia romantica assolutamente fuori dagli schemi e commosso apologo della realtà di tutti i giorni, ben presto dimostra che lo spunto surreale, apparentemente ingenuo e vagamente fantascientifico dei viaggi nel tempo, altro non è che un originale pretesto per un poetico e ben orchestrato inno alle gioie della quotidianità, panacea di ogni desiderio frustrato e bisogno di calore umano. Nonostante il paradosso temporale, nel primo macro-segmento, venga sfruttato in modo non propriamente anticonvenzionale, per dar luogo a una serie di situazioni spiritose e godibili (una su tutte, la prima volta di Tim e Mary), è d’altra parte evidente come a Curtis prema sottolineare – ora sussurrandolo allo spettatore, ora gridandolo – che, in fondo, tutto ciò che conta sono le piccole cose che ci investono di continuo, senza che quasi ce ne accorgiamo. Eppure, forse, proprio in esse risiede il mistero della felicità. L’organicità dell’impianto narrativo, lungi dal concentrarsi prevalentemente sulle peripezie amorose di Tim e Mary, denota un perfetto equilibrio tra cuore e intelligenza. La regia e la penna di Curtis sono sicure e accurate, le interpretazioni genuine e convincenti.
Rachel McAdams non è nuova alla tematica dei viaggi temporali; nel 2009 è stata protagonista della pellicola, diretta da Robert Schwentke, The Time Traveler’s Wife (adattamento del bel romanzo omonimo di Audrey Niffenegger), vestendo i panni, seppur in circostanze molto differenti, della moglie di un uomo condannato a viaggiare nel passato e nel futuro. La Mary di Questione di Tempo, ansiosamente romantica e insolitamente fan di Kate Moss, conquista tanto Tim che lo spettatore sin dalla prima ‘apparizione’, durante un appuntamento letteralmente al buio. Domnhall Gleeson – il Bill Weasley della saga cinematografica di Harry Potter – fa sorridere grazie all’impacciato candore proprio del personaggio; diverte quando mette in pratica le sue trovate, che puntualmente si trasformano in pasticci cui porre rimedio; emoziona con le riflessioni sull’amore, la vita, l’essenziale. Il vero fiore all’occhiello del cast, tuttavia, è senza dubbio l’immenso Bill Nighy, alla sua quarta collaborazione con Curtis, che conferma la propria versatilità d’interprete e l’innato talento nel rendere con brio e carisma ogni intensa sfumatura del proprio personaggio, risultando naturale e autentico tanto nei momenti comici che in quelli drammatici. Tra gli interpreti, cui va riconosciuto l’indiscusso merito di lavorare in perfetta armonia fra loro, si distinguono anche Tom Hollander (il burbero coinquilino di Tim), l’algida Lindsay Duncan (la mamma di Tim), Will Merrick (Jay) e la deliziosa Lydia Wilson (l’esuberante sorella di Tim).
La commedia, condita da dialoghi per lo più brillanti, ambientata sullo sfondo di incantevoli location (tra Londra e la Corvovaglia) e impreziosita da alcune sequenze da antologia (la già citata cena al buio; il montaggio serrato dei saluti in metropolitana; il matrimonio ‘bagnato’ sulle note di Il Mondo di Jimmy Fontana), non presenta grossi difetti né dal punto di vista tecnico né per quanto riguarda la sua poetica. Il corretto dosaggio di humor e pathos funziona, ed è destinato a sorprendere e persuadere il pubblico ad abbandonarsi, con ritrovata e genuina sensibilità, a ricordi e sensazioni. Un unico appunto, a voler essere pignoli, potrebbe essere identificato nella reiterazione, talvolta perpetrata più del necessario, di alcune circostanze – che non hanno a che fare col tornare indietro nel tempo per rimediare a gaffe o errori – e concetti che rischiano di lasciar scivolare l’insieme nella banalità. Nella parte finale, infatti, si ha l’impressione che Curtis abbia abbassato la guardia o perso la concentrazione. Una decina di minuti in meno, a tal proposito, probabilmente avrebbero giovato al risultato complessivo.
Questione di Tempo, elegante e coinvolgente spaccato di una ‘vita qualunque’ (ma speciale proprio in virtù di questo), è un meraviglioso viaggio – struggente e delicato come un sogno – che colpirà dritto al cuore e che, partendo dalla buona intuizione di fare dei viaggi nel tempo una metafora per ribadire l’importanza del presente e della realtà come unica scelta possibile, regalerà sorrisi tra le lacrime e non potrà lasciare indifferente il pubblico.
Chiara Carnà
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